Da tredici anni il videogioco è proibito in Cina. Ma per quanto ancora? Il governo ha infatti deciso di rendere Shanghai una zona di libero commercio e ha intenzione di attirare il maggior numero di investitori possibile. Un invito a nozze per i colossi dei videogame giapponesi e americani. Giocare è glorioso? Sembrerebbe la nuova tendenza di “apertura e liberalizzazione” dell’ex Impero di mezzo. Forse la Cina è sul punto di revocare il divieto per i giochi da console attivo già da 13 anni. Ma a un patto. Che Sony, Nintendo e Micosoft producano i loro prodotti nella nuova zona di libero scambio di Shanghai.
Il tentativo di trasformare la metropoli di Shanghai in uno dei principali centri finanziari, tentativo che ha già ricevuto il beneplacito del premier Li Keqiang e che sembra essere la naturale prosecuzione delle politiche di apertura iniziate trent’anni da Deng Xiaoping passa dunque anche dai giochi online.
La notizia che campeggia a tutta pagina sul South China Morning Post proviene da una serie di documenti in cinese che affermerebbero in pratica che alle aziende straniere d’accordo a registrasi nelle nuova zona di libero commercio sarà permesso di promuovere e vendere i loro prodotti nel mercato domestico una volta ottenuta l’autorizzazione dalle “autorità che monitorano la cultura”. La notizia non è stata ancora né smentita né confermata.
Il punto – secondo le fonti del quotidiano di Hong Kong – sarebbe che il ministro della cultura cinese si deve assicurare che il contenuto dei giochi da console non sia né troppo violento né politicamente sensibile. In attesa di un annuncio che ufficializzi quest nuova politica, la notizia è già una bomba per quelle aziende che vedono nel mercato interno cinese che finora gli è stato precluso, una miniera d’oro.
Il divieto per i giochi da console vige dal giugno del 2000. Fu lo stesso Ministro della cultura di allora a imporlo, facendo eccezione per quei componenti che vengono importati in Cina per essere assemblati nelle sue fabbriche e poi rivenduti all’estero. All’epoca la motivazione ufficiale era che questo tipo di giochi avrebbero potuto danneggiare “la salute mentale” dei giovani cinesi.
C’è da puntualizzare che – essendo la produzione dei giochi per console in gran parte basata in Cina (dalla tristemente nota azienda taiwanese Foxconn) – i giovani cinesi ben conosco questo tipo di giochi che si possono facilmente reperire nelle migliaia di mercati neri dell’elettronica di cui questo paese è pieno.
Xbox, Wii e PlayStation saranno quindi il veicolo per quel “miglioramento dell’economia cinese” professato dal premier Li? Sembrerebbe di sì, perché se questo segnale venisse confermato da fonti ufficiali si tratterebbe di un forte messaggio di benvenuto ai nuovi investimenti.
Le reazioni delle aziende interessate sono comunque ancora tiepide. Il portavoce della Sony di Hong Kong, ha semplicemente affermato che riconosce che “la Cina è un mercato promettente” ma che anche se “continueranno a studiare questa possibilità” non c’è ancora “un piano concreto”. Staremo a vedere. Per il momento tutti gli occhi sono puntati sull’apertura della zona di libero scambio di Shanghai. E solo una volta annunciate le regole si potrà cominciare a giocare.
[Scritto per Lettera43; foto credits: hngn.com]