I titoli di oggi:
- Zero Covid: costi economici 10 volte quelli di Wuhan, Pechino censura Tedros
- Xi a Macron: “L’Europa mantenga la sicurezza nelle proprie mani”
- I cento anni della lega della gioventù comunista
- Washington corregge la politica di “una sola Cina”
- Il nuovo presidente sudcoreano Yoon apre alla Corea del Nord
Zero Covid: costi economici 10 volte quelli di Wuhan, Pechino censura Tedros
L’impatto economico dell’ultimo focolaio di coronavirus in Cina è oltre 10 volte maggiore del primo lockdown di Wuhan. E’ quanto ritiene Xu Jianguo, professore associato di economia presso la National School of Development Università di Pechino, secondo cui le interruzioni dell’attività economica causate dalle misure sanitarie hanno già colpito 160 milioni di persone quest’anno e sono costate 18 mila miliardi di yuan (2,68 mila miliardi di dollari USA). Per fare un confronto, l’epidemia di Wuhan due anni fa interessò 13 milioni di persone e causò danni economici per un valore di 1,7 mila miliardi di yuan. Perché tanta differenza? Semplice: perché quest’anno a finire in lockdown totale o parziale sono state alcune tra le città più grandi e importanti della Cina, tra cui Shanghai, Suzhou, Shenzhen, Dongguan e Pechino. Sono molti gli analisti a ritenere che la politica Zero Covid renderà irraggiungibile l’obiettivo di crescita del 5,5%.
Dubbi sulla strategia cinese sono stati sollevati anche dal segretario generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ieri ha definito la pratica “insostenibile” considerato il comportamento variabile del virus e le nuove misure di controllo a disposizione. Il governo cinese non sembra aver apprezzato il consiglio, che è stato censurato su WeChat e Weibo. Oltre ai calcoli politici, è probabile che la leadership di Xi Jinping abbia a mente i molti studi sul potenziale impatto di un allentamento della strategia Zero Covid. Secondo proiezioni di esperti americani e cinesi, oltre 1,5 milioni di persone morirebbero a causa del coronavirus.
Xi a Macron: “L’Europa mantenga la sicurezza nelle proprie mani”
A poche ore dalla telefonata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Xi Jinping ha avuto uno scambio anche con Emmanuel Macron. Il tema principale della conversazione è stata la guerra in Ucraina, che entrambe le parti hanno auspicato venga risolta attraverso negoziati. Ma non solo. I due leader hanno colto l’occasione per discutere delle relazioni bilaterali e dei rapporti con l’Ue. A questo proposito, secondo l’Eliseo, Macron ha messo in evidenza “l’importanza di avanzare verso un riequilibrio della relazione euro-cinese nel senso di una maggiore reciprocità“. Il presidente francese ha inoltre chiesto a Xi di rimuovere le restrizioni commerciali imposte alla Lituania e rivedere le misure anti-Covid per ridurre l’impatto sulle famiglie e le attività economiche delle aziende straniere. Non ci sono state però solo critiche. Macron ha elogiato Pechino per “la ratifica delle due convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro relative alla lotta contro il lavoro forzato che dovevano essere ormai pienamente applicate sull’insieme del territorio cinese, in particolare nello Xinjiang“.
La Cina da parte sua si è detta pronta a rafforzare gli scambi con la Francia a ogni livello e a lavorare per il “sano sviluppo” delle relazioni bilaterali. Xi ha rimarcato i risultati in materia di cambiamenti climatici ma ha avvertito sia necessario che ambo le parti rispettino “i reciproci timori e interessi”. E’ poi tornato su un tema a lui caro: quello dell’ “autonomia strategica“. Come in altre circostanze, il presidente cinese ha auspicato che l’Europa gestisce autonomamente la propria sicurezza. Chiaro riferimento all’alleanza transatlantica e all’ingerenza americana nel Vecchio Continente.
I cento anni della lega della gioventù comunista
La Lega della gioventù comunista ha compiuto cento anni. I festeggiamenti si sono tenuti ieri nella Grande Sala del popolo alla presenza della leadership. Xi Jinping ha invitato l’organizzazione, vivaio del partito, a guidare le nuove generazioni verso il “sogno cinese“. L’organizzazione ha perciò il dovere di coltivare la fiducia dei giovani nel socialismo con caratteristiche cinese, nel partito e nel marxismo. La chiave di tutto è il “patriottismo”, requisito essenziale per portare a compimento la “rinascita della grande nazione”. Dall’evento non sono trapelati segnali rilevanti per interpretare il clima politico. Storicamente la Lega viene considerata la fazione rivale dei principi rossi. Dall’inizio della presidenza Xi Jinping l’organizzazione – a cui appartiene, tra gli altri, il premier Li Keqiang – è stata riformata e depotenziata. A pochi mesi dal Congresso, non è chiaro se i membri della Lega più quotati (come il vicepremier Hu Chunhua) verranno promossi o meno. Circola voce però che la disastrosa gestione del Covid a Shanghai abbia intaccato la legittimità di Xi. E non sembra esserci piena coesione sulla strategia da mantenere. Mentre il presidentissimo continua a incensare la politica Zero Covid come l’unica strada perseguibile, il premier Li sembra molto più preoccupato dall’aumento vertiginoso della disoccupazione giovanile.
Washington corregge la politica di “una sola Cina”
Il dipartimento di Stato americano ha corretto la scheda informativa sulla politica di “una sola Cina” che regola i rapporti con Taiwan. Le variazioni interessano il primo paragrafo, in cui – come nel comunicato congiunto firmato con Pechino nel 1979 – il governo della Repubblica popolare di Cina veniva riconosciuto come l’unico governo legale della Cina, e Taiwan come parte della Cina. Dal sito è sparito poi il passaggio in cui Washington dichiarava espressamente di non sostenere l’indipendenza dell’isola. In compenso l’ex Formosa viene definita “un partner chiave degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico”. Il ritocco pare sia stato apportato il 5 maggio dopo che nei giorni scorsi il ministero degli Esteri cinese aveva chiesto a Washington di prestare fede a quanto stabilito dalla politica “una sola Cina”, disconoscendo la differenza tra la versione cinese e quella americana, che non legittima la sovranità di Pechino sull’isola. La revisione è stata duramente criticata dalle autorità cinesi, secondo le quali l’amministrazione Biden starebbe cercando di cambiare lo status quo nello Stretto.
Intanto, secondo quanto dichiarato in Senato da Avril Haines, vicedirettrice della Central Intelligence Agency, Pechino si starebbe premunendo dei mezzi militari per invadere Taiwan, sebbene non sia lo scenario preferibile. E infatti il governo cinese sembra ancora sperare in una riunificazione economica. Il Taiwan Affairs Office ha appena lanciato una serie di misure per incrementare la cooperazione tra il Zhejiang e l’isola nell’ambito del piano provinciale per raggiungere la prosperità comune.
Secondo Pechino, sono le incursioni americane nelle acque tra le due Cine a richiedere una risposta muscolare. Come i duri ammonimenti al passaggio nello Stretto dell’incrociatore missilistico guidato USS Port Royal della Marina statunitense che nella giornata di ieri è stato monitorato dal Comando del teatro orientale.
Il nuovo presidente sudcoreano Yoon apre alla Corea del Nord
E’ cominciato con una vaga apertura alla Corea del Nord il mandato di Yoon Suk-yeol, il nuovo presidente sudcoreano. Dopo aver adottato un approccio duro in campagna elettorale, ieri, durante la cerimonia d’apertura, il leader conservatore è parso voler porgere un ramo d’ulivo. Il presidente ha posto l’accento sui valori della “libertà” e della “pace sostenibile”, e si è detto pronto al dialogo con la Corea del Nord, nonostante i recenti test balistici effettuati da Pyongyang: “Sebbene i programmi nucleare e balistico della Corea del Nord costituiscano una minaccia non solo per noi, ma anche per l’Asia Nord-orientale nel suo complesso, la porta del dialogo resta aperta, nella speranza di risolvere questa minaccia pacificamente”. Yoon ha aggiunto che “se la Corea del Nord intraprenderà sinceramente un percorso di completa denuclearizzazione, siamo pronti a lavorare con la comunità internazionale per presentare un piano audace che rafforzi enormemente l’economia della Corea del Nord e migliori la qualità della vita del suo popolo”.
Non sono stati forniti dettagli a riguardo, ma i toni sono ben diversi da quelli impiegati nei mesi che hanno preceduto la vittoria elettorale, quando il presidente in pectore si era scagliato contro Moon Jae-in per il suo approccio troppo conciliante. Yoon ha inoltre dimostrato l’intenzione di voler ricucire le relazioni con il Giappone nell’ottica di un maggior coordinamento con gli Stati uniti nell’Indo-Pacifico. Non preoccupano solo i nuovi test missilistici di Pyongyang. Dall’inizio della guerra, la posizione ambigua della Cina ha alzato il livello di guardia in Asia. Taiwan non è l’Ucraina, ma il disagio tra i paesi della regione per l’allineamento con Mosca è evidente.
A cura di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.