“La prosecuzione degli incontri tra USA e Cina ai massimi livelli costituisce, al momento, la via migliore per tutelare gli interessi statunitensi”. Parola di Timothy Geithner, segretario al Tesoro del governo americano.
È con questo auspicio che, di ritorno dal suo viaggio in India, Geithner è volato a sorpresa a Pechino per un colloquio con il vice-primo ministro cinese Wang Qishan, responsabile dei rapporti commerciali della Cina. I risultati del breve incontro sono stati però tenuti segreti. In uno scarno comunicato rilasciato dall’ambasciata statunitense si afferma che le due parti si sono scambiate opinioni sulle relazioni economiche tra i due Paesi, sulla situazione globale e sul prossimo incontro bilaterale che si terrà a maggio a Pechino. Non c’è stata l’attesa conferma di quanto anticipato dal New York Times che ieri dava per certo l’annuncio di una rivalutazione dello yuan nei prossimi giorni. Prima di giungere a Pechino, intervistato da una tv indiana, Geithner ha definito “nell’interesse della Cina” una maggiore flessibilità della propria moneta.
Di diverso parere appaiono invece gli economisti al di là della Muraglia. “Un improvviso apprezzamento dello yuan sarebbe dannoso per l’economia globale e per i consumatori statunitensi” ha dichiarato Xia Bin membro del comitato per le politiche monetarie della Banca centrale cinese. Lo yuan, o renminbi, come viene comunemente chiamato, è una valuta non convertibile. Nel 2005 la moneta venne sganciata dal dollaro e subì una rivalutazione del 2,1 per cento, ma nel 2008 il governo cinese ha deciso di ancorarlo nuovamente alla moneta verde. Una decisione che ha agevolato in maniera sleale le esportazioni made in China, denunciano Unione Europea e Stati Uniti.
Negli scorsi giorni il segretario al Tesoro aveva deciso per il rinvio dell’uscita del rapporto semestrale del Congresso sulle politiche valutarie prevista per il 15 aprile. Le possibili accuse contro Pechino, rea di manipolare la valuta tenendola artificialmente bassa, avrebbero potuto aprire un nuovo scontro tra la Repubblica popolare e gli Usa, i cui rapporti si sono via via raffreddati negli ultimi mesi a causa della vendita di armi americane a Taiwan, dell’incontro del presidente Barack Obama con il Dalai Lama e del caso Google. Negli ultimi giorni dopo la telefonata tra il presidente cinese Hu Jintao e Obama, le tensioni sembrano però essersi allentate. Lunedì prossimo Hu è atteso a Washington per prendere parte al vertice multilaterale sulla sicurezza nucleare. Dopo l’annuncio della nuova dottrina americana in materia, che prevede di non utilizzare armi nucleari contro gli Stati che hanno firmato il Trattato di non proliferazione, ma si riserva la possibilità di un attacco contro chi ne viola i termini, la Cina ha affermato di voler studiare attentamente la Nuclear Postur Review dell’amministrazione Obama.
Sottolineando l’importanza della riduzione del numero delle armi nucleari, la portavoce del ministero degli Esteri cinese Jiang Yu ha annunciato che Pechino, in una strategia di natura difensiva, “manterrà le sue forze nucleari al più basso livello possibile, secondo le necessità di sicurezza dello Stato”. Una risposta alle accuse di “mancanza di trasparenza” rivolte da Washington al programma nucleare cinese. I discorsi sulla possibile rivalutazione dello yuan sembrano invece rinviati al summit del G-20 che si terrà sempre a Washington il 22 e il 23 aprile. Il condizionale è però d’obbligo. Intervistato dall’agenzia Reuters, Andrei Bokarev, numero due degli sherpa russi e funzionario del ministero delle Finanze ha definito “improbabile” ogni possibile discussione sullo yuan “perché i cinesi semplicemente non lo permetteranno”.
[Pubblicato su Il Riformista, il 9 aprile 2010]