La segretaria al Tesoro americana inizia la sua visita da Guangzhou e rievoca lo storico viaggio del 1992 con cui Deng Xiaoping diede nuovo impulso alle riforme. Un messaggio per Xi Jinping, che un recente ciclo di contenuti di Xinhua ha paragonato proprio al “piccolo timoniere”
“Ha ordinato piatti autentici e usa bene le bacchette”. Media e social cinesi elogiano la performance di Janet Yellen, a cena in un ristorante cantonese di Guangzhou. Per ora, i lati positivi finiscono a tavola. La seconda visita nel giro di nove mesi da parte della segretaria del Tesoro degli Stati uniti, a suo dire tesa a “promuovere relazioni economiche sane”, è cominciata in modo battagliero. Al centro della contesa due parole chiave: sovrapproduzione e sussidi. Con prospettive che tra Washington e Pechino restano diametralmente opposte.
Il viaggio è stato annunciato all’improvviso, subito dopo la fine della telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping di martedì. Ma pare preparato nei minimi dettagli. A partire dalla scelta della prima meta: “Guangzhou è stata una tappa fondamentale del tour meridionale di Deng Xiaoping del 1992, quando ha rinnovato l’impegno della Cina verso le riforme orientate al mercato”, ha detto Yellen al vicepremier He Lifeng, il primo a riceverla. Il messaggio è piuttosto esplicito: gli Usa vogliono parlare con una Cina che si riforma e che aderisce alle regole di mercato.
Viene subito in mente il ciclo di contenuti in inglese pubblicato a marzo dall’agenzia statale Xinhua, intitolata “Xi il riformatore”. All’interno, un raro parallelo diretto con Deng: “I due hanno la stessa missione, quella di modernizzare la Cina”. Un bel cambio di prospettiva, essendo abituati sui media internazionali ai paragoni tra Xi e Mao Zedong per l’accentramento di potere. Il problema è che, secondo Pechino, nelle parole di Yellen c’è però anche una parte implicita: le regole da seguire sono quelle imposte dagli Stati uniti e che magari loro stessi talvolta non applicano.
Il riferimento è soprattutto ai sussidi. A un incontro con la comunità imprenditoriale statunitense locale, Yellen ha spiegato che quelli del governo cinese all’industria sono troppo ingenti e “rischiano di creare un eccesso di beni che poi si riversano sui mercati globali” e danneggiano imprese e famiglie americane. Troppi sussidi significa sovrapproduzione. “L’eccesso di capacità può portare a grandi volumi di esportazioni a prezzi depressi”, ha detto ancora Yellen. “E può portare a un’eccessiva concentrazione delle catene di approvvigionamento, mettendo a rischio la tenuta dell’economia globale”. Il riferimento è a comparti come l’acciaio, dove la produzione cinese ha toccato i livelli record del 2016, ma soprattutto dei pannelli solari. Se sulla siderurgia cinese sono già in vigore severe misure anti dumping, è proprio sulla green technology che si potrebbe assistere al prossimo capitolo della guerra commerciale.
Nel mirino non ci sono solo i pannelli solari, ma anche le batterie e i veicoli elettrici, su cui anche l’Unione europea potrebbe imporre dei dazi nei prossimi mesi. La tesi statunitense è che il governo cinese stia volutamente ricorrendo alla tradizionale leva dell’export a basso costo per sostenere un’economia che non sta tornando a crescere alla velocità attesa dopo la pandemia. Pechino non è d’accordo, soprattutto sui rischi di distorsione del mercato globale. “Ciò che la Cina esporta è una capacità produttiva avanzata che soddisfa le esigenze dei clienti stranieri”, sostiene sempre Xinhua. Si ricorda inoltre che gli Stati uniti stanno spendendo 369 miliardi di dollari in sussidi per le tecnologie verdi nell’ambito dell’Inflation Reduction Act introdotta dall’amministrazione Biden nel 2022.
Yellen resterà in Cina fino al 9 aprile. In agenda incontri col premier Li Qiang, il vice premier Liu He, il ministro delle Finanze Lan Fo’an e il governatore della Banca del popolo Pan Gongsheng. Molto complicato pensare che la visita possa sciogliere i nodi dei rapporti economici tra le due potenze. All’orizzonte si intravede già un ulteriore inasprimento delle restrizioni americane su microchip e intelligenza artificiale, con Pechino pronta a rispondere sulle terre rare. Il prezzo del gallio, metallo fondamentale per la produzione di veicoli elettrici e pannelli solari, è nettamente aumentato da quando il governo cinese ha posto delle limitazioni all’export. D’altronde, Xi lo ha detto a Biden: “La vostra riduzione del rischio è in realtà una creazione di rischio”.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.