Nei giorni scorsi ha visitato le aree alluvionate della provincia nord-orientale dello Heilongjiang. Nei prossimi riceverà a Pechino il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro. Ma oggi e domani Xi Jinping non sarà a Nuova Delhi. Dopo aver saltato gli incontri dell’Asean a Giacarta, il presidente cinese mancherà anche il summit del G20. Al suo posto il premier Li Qiang, dotato di deleghe forse più ampie del predecessore Li Keqiang sulle politiche economiche. Le ispezioni interne e la visita del leader bolivariano non sembrano abbastanza per giustificare un’assenza priva di spiegazioni ufficiali.
In molti ritengono possa trattarsi di uno sgarbo all’India padrona di casa. D’altronde, i rapporti tra i due giganti asiatici non sono certo idilliaci, nonostante il ministero degli Esteri cinese li abbia definiti “stabili”. Al recente summit dei Brics, Xi e Narendra Modi hanno avuto solo un breve scambio da cui sono trasparsi segnali di sfiducia. Basti vedere come Nuova Delhi e Pechino abbiano dato versioni diverse sul colloquio. Avvenuto su “richiesta indiana”, sostiene la Cina. Su “richiesta cinese”, sostiene l’India. Insomma, non proprio il disgelo che ci si aspettava per aprire la strada alla venuta di Xi in terra indiana, dove il nazionalismo anti cinese è parecchio forte da oltre tre anni. Da quando, cioè, nel giugno del 2020 si sono verificati violenti scontri lungo l’enorme confine conteso. Nonostante diversi round di colloqui, la situazione non è mai stata risolta e ha dato vita ad altri sporadici confronti. La vicenda è stata peraltro rinfocolata la scorsa settimana, dopo che il governo cinese ha pubblicato una nuova mappa standard dei suoi confini, in cui compaiono l’altopiano dell’Aksai Chin (effettivamente controllato da Pechino) e parte dell’Arunachal Pradesh, amministrato dall’India ma rivendicato dalla Cina come parte dello “Zangnan”, cioè Tibet meridionale. Da queste parti dovrebbe peraltro palesarsi a breve il Dalai Lama, la cui successione è un tema potenzialmente in grado di aprire nuove tensioni.
Senza contare che l’India fa parte insieme a Usa, Australia e Giappone del Quad, che Pechino considera uno dei tentativi statunitensi di costruire una sorta di “Nato asiatica”. La sfida regionale tra Cina e India si gioca peraltro anche sulle Maldive, dove proprio oggi si vota per le elezioni presidenziali. Il presidente uscente Ibrahim Mohamed Solih promuove stretti legami con Nuova Delhi, mentre lo sfidante Mohamed Muizzu è considerato più vicino a Pechino e promette di rimuovere la piccola presenza militare indiana nell’arcipelago.
Non andando al G20, Xi non incontrerà nemmeno Joe Biden. Potrebbe essere un calcolo preciso. Dopo le visite dei vari Antony Blinken, Janet Yellen, John Kerry e Gina Raimondo, Pechino si percepisce in una posizione di relativa forza. Evitando l’incontro tra leader in terra indiana, si dà un colpo alle ambizioni del vertice di Modi ma si aumenta anche la posta in gioco sul possibile bilaterale di San Francisco, dove Xi dovrebbe andare a novembre per il summit dell’Apec. Eventualità messa in dubbio dal potente ministero per la Sicurezza di stato che, come fatto da Li di fronte alla vicepresidente Kamala Harris in Indonesia, accusa Washington di perseguire il contenimento della Cina alimentando la costruzione di blocchi contrapposti nella regione.
Dopo che ieri si sono registrate nuove tensioni con le Filippine nei pressi di un atollo conteso sul mar Cinese meridionale, l’attenzione di Pechino è rivolta in tal senso su Hanoi, dove domani arriva in visita Biden. L’obiettivo è sottoscrivere l’elevazione dei rapporti tra gli storici rivali Usa e Vietnam al livello di partnership strategica. L’incontro col segretario del Partito comunista Nguyen Phu Trong è risultato di una delicata operazione di bilanciamento di Hanoi, che con la guerra in Ucraina sente il bisogno di diversificare i rapporti di sicurezza dalla storica dipendenza dalla Russia. Pechino ha giocato in anticipo nei giorni scorsi, sondando le intenzioni vietnamite nel colloquio tra Li e il premier Pham Minh Chinh a Giacarta. Hanoi non vuole schierarsi, ma le sue manovre potrebbero essere “troppo” per la Cina. O troppo poco per gli Usa.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.