Due teste pesantissime, cadute nel rimbombo isolato che precede un periodo politico intenso per la Cina di Xi Jinping. Sun Lijun e Fu Zhenghua, entrambi vice ministri della pubblica sicurezza, sono stati epurati di recente.
IL LORO TONFO RAPPRESENTA il primo sintomo dell’apertura delle danze verso il XX congresso del Pcc nel 2022 e della riorganizzazione in atto in uno dei settori interni più potenti. Si tratta di due ex fedelissimi di Xi, entrambi a lungo sulla cresta dell’onda e con ruoli apicali nelle strutture delle forze di polizia e poi nelle commissioni interne del Pcc.
Sun Lijun è stato espulso la settimana scorsa, con toni che ricordano purghe ben più famose. La Xinhua ha scritto che Sun «Per raggiungere i suoi obiettivi politici è ricorso a qualsiasi mezzo formando bande e fazioni», (questa è un’accusa infamante da un punto di vista politico, da traditori assoluti.
E DIRE CHE ALL’INIZIO dell’epidemia, Xi Jinping aveva scelto lui affinché fosse i suoi occhi: trasferitosi a Wuhan aveva cominciato a indicare responsabili e cause. Poi nell’aprile del 2020 è finito sotto inchiesta. I peripli dei funzionari cinesi non sono quasi mai perscrutabili, ma spesso affondano in relazioni del passato che improvvisamente diventano rischiose: Sun è sempre stato considerato molto vicino a Meng Hogwei, ex capo dell’Interpol prima sparito e poi condannato nel gennaio del 2020. Meng – a sua volta – era vicino a Zhou Yongkang. Ed ecco la storia cinese che ritorna: Zhou Yongkang era lo «zar della sicurezza» nel periodo precedente l’arrivo al potere di Xi.
NEL SUO MANDATO Zhou aveva trasformato il ministero della pubblica sicurezza in uno dei settori più potenti del Partito; Zhou, con ampi legami anche nel mondo petrolifero (era il periodo nel quale ogni funzionario «gestiva» un settore industriale ben definito), era diventato sodale di Bo Xilai, il segretario del Partito di Chongqing che ponendo lo Stato alla guida dell’economia locale (oltre a parlare inglese bene e a trovate come l’eliminazione della pubblicità commerciale dai canali televisivi e l’invio in campagna di tanti giovani) aveva creato una sorta di «modello».
Talmente rilevante da finire sotto l’assedio dell’allora guida del Pcc desiderosa di assicurare a Xi un’investitura senza traumi o avversari pronti alla coltellata fatale. Bo Xilai cadde e poco dopo fu il turno di Zhou. E proprio a Zhou – sebbene in modo diverso da Sun – è collegato Fu Zhenghua, altro «astro nascente» della polizia cinese, noto per campagne contro prostituzione e «influencer»: a lui Xi affidò le indagini contro Zhou.
E adesso pure Fu è sotto indagine. Nelle retrovie c’è uno scontro per il settore della sicurezza: nel 2022 Zhao Kezhi, attuale capo del ministero di pubblica sicurezza, si ritira. Come lui sarà «pensionabile» Guo Shengkun, segretario della Commissione politica e affari legali. DUE POSIZIONI
FONDAMENTALI per gestire l’ormai probabile terzo mandato di Xi. A questo proposito, un momento importante arriverà già a novembre, quando si svolgerà il sesto plenum. Rumors vogliono che proprio in questa occasione (solitamente il «sesto» si occupa di Partito, strutture e organizzazione, celebre quello del 1981 nel quale il Pcc rese nota la propria posizione ufficiale sulla Rivoluzione culturale e su Mao, o quello più recente nel 2016 quando Xi è stato nominato «nucleo» del Partito) potrebbe uscire un documento che anticiperà il terzo mandato.
Altri «si dice» raccontano invece della possibilità di un documento finale che potrebbe rivedere quel famoso «trenta percento» negativo che Deng rifilò all’operato di Mao.
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.