La «golden era» dei rapporti sino-britannici è ufficialmente partita, con la visita di Xi Jinping a Londra. L’imperatore cinese ha incontrato la regina a Buckingham palace, ha parlato al parlamento, ha incontrato il premier David Cameron e successivamente il leader dei laburisti Jeremy Carbyn. Xi Jinping nel discorso al parlamento, ha detto una frase che segna davvero il suo «regno», riallacciandosi al desiderio di creare una nuova epoca in Cina. Ha specificato di augurarsi che la Cina non venga vista solo come una potenza economica mondiale, «ma come una fonte di ispirazione morale». Le relazioni tra Pechino e Londra, che puntano a fare della Cina il secondo partner economico della Gran Bretagna sono rilevanti per tutti, specie dopo il black out diplomatico tra i due paesi nel 2012, a seguito di una visita ufficiale del Dalai Lama a Londra. Un affronto che Pechino ha segnato sul proprio libro nero per un po’ di tempo.
Poi, così come non puzzano gli yuan, lo stesso può dirsi per sterline e know how britannico. Prima Londra ha dato l’ok a entrare nella banca di investimenti a guida cinese e poi questa visita. In ballo ci sono circa 45 miliardi di dollari di accordi, scambi culturali, fondi tecnologici e l’ingresso della Cina nel settore nucleare inglese, una mossa incredibile solo qualche anno fa. Xi Jinping ha regalato alla regina due album musicali eseguiti dalla moglie, nota cantante folk. Un particolare segnalato dalla stampa britannica, insieme al desiderio espresso dal presidente cinese di poter mangiare in un pub i famosi fish and chips londinesi (confermando la sua tendenza pop, il suo presentarsi come «l’uomo del popolo», specie dopo il suo ormai noto pranzo in una piccola trattoria pechinese).
Note di colore per una visita storica, che al di là degli aspetti economici, segna un punto di non ritorno nelle relazioni geostrategiche mondiali. Il modo con il quale è stato ricevuto Xi Jinping, come una sorta di salvatore della patria, ha scatenato parecchie proteste in Gran Bretagna. Londra, si è detto, ha abbandonato i propri valori democratici, in cambio del valore dei soldi. È quello che fanno tutti con la Cina: provare a minimizzare le questioni legate ai diritti umani e spingere sui rapporti commerciali. La Cina è un mercato per le esportazioni britanniche, e un fondo inesauribile per gli investimenti nel paese. In tempi di crisi, avere alleata Pechino consente di giocare più liberi negli ambiti internazionali, vedi quello europeo e quello confuso, ormai, medio orientale. Londra lo sa bene e la realpolitik non si può dire sia un oggetto misterioso dalle parti di Westminster.
Ci sono però alcune riflessioni di natura generale da compiere: le proteste contro Xi Jinping, compiute da attivisti dei diritti umani, pro Tibet e Falun gong non hanno avuto praticamente spazio sui media britannici, né nelle parole dei politici locali, a parte rare eccezioni. Si sa che la Cina considera questi elementi come questioni interne su cui non chiede ingerenze altrui. Ma è pur vero che nel processo di maggior conoscenza tra Cina e mondo, sottolineato anche dal presidente cinese nel suo discorso al parlamento britannico, forse comincia a farsi strada una lettura più complessa di quanto accade in Cina.
E insieme a questo, senza mancare di sottolineare le storture del sistema cinese, si sta forse cominciando a elaborare un diverso modo per fare pressione su Pechino su alcuni temi, senza permettersi di effettuare lezioni su questioni spinose e da approfondire. La «faccia» per i cinesi – e per tutti gli asiatici – è un concetto sociale cardine e potrebbero essere più decisive parole e tesi sostenute in incontri privati, anziché sparate mediatiche che finiscono per imbarazzare profondamente Pechino, che spesso reagisce in modo scomposto. Xi Jinping, quasi a voler tacitare questo genere di polemiche, nel suo discorso al parlamento (il Guardian ha fatto notare come Cameron fosse l’unico in tutta l’aula senza le cuffie per la traduzione di un discorso interamente in mandarino) ha ricordato gli sforzi che la Cina sta compiendo, a suo modo, con tutti i suoi limiti, rispetto al cosiddetto «stato di diritto». Infine, gli affari.
Jack Ma, padre e fondatore di Alibaba (la più grande società di e-commerce del mondo, benché non stia affrontando un periodo d’oro) è stato nominato consulente per il commercio da Cameron. Xi Jinping ha portato con sé parecchi uomini d’affari, gli esponenti dei più importanti istituti bancari cinesi e i dirigenti che dovranno seguire gli importanti accordi sul nucleare.
(Scritto per il manifesto)