Tempi difficili per il dipartimento di propaganda cinese: dopo un audit iniziato nei mesi scorsi la commissione di disciplina del partito che doveva valutarne l’operato ha espresso un giudizio negativo: la propaganda non ha sufficientemente promosso l’ideologia del partito e non ha controllato i media, internet e l’apparato ideologico delle università.Come è possibile dunque che in un paese nel quale i media e tutto quanto riguarda l’informazione è controllato dal partito, gli uffici dediti a queste attività vengano addirittura criticati? La questione è politica: negli ultimi tempi alcuni «svarioni» dell’ufficio di propaganda hanno fatto serpeggiare il dubbio che qualcosa non quadri del dominio ideologico di Xi Jinping. Articoli pubblicati «per sbaglio», Xi Jinping definito «l’ultimo leader», fino ad arrivare alla lettera in cui si chiedevano le dimissioni del Presidente, «sfuggita» ai controllori.
In Cina nulla accade per caso e Xi Jinping lo sa bene: addebitare ad errori queste «sviste» potrebbe essere pericoloso per lui e il seguito di potere che a lui si affida. Meglio dunque intervenire, alla svelta.
Per questo a febbraio è stato lanciato un «audit» su tutto il compartimento di propaganda del paese. E i risultati faranno preoccupare parecchie persone.
Secondo il relatore del rapporto, infatti, «Lo sforzo messo in atto per guidare l’arte e la letteratura per servire il socialismo e il popolo non è abbastanza ovvio e la propaganda attraverso i media non è abbastanza efficace». Sotto accusa è finita la State Administration of Press, Publication, Radio, Film and Television, responsabile di «non mantenere l’opinione pubblica in una direzione corretta».
Tempi duri per i solerti censori, e c’è da credere che da ora in avanti il controllo sui media sarà ancora più serrato. L’insoddisfazione della commissione nasce sicuramente da un ordine dall’alto: il numero uno, Xi Jinping, ha sottolineato più volte la necessità di uno stretto controllo ideologico, nella società, nelle scuole, all’interno del partito. Nulla di nuovo: anche i suoi predecessori fecero altrettanto.
Con Hu Jintao si cercava ovunque la necessaria «armonia», con Xi Jinping il registro è più complesso e su diverse traiettorie.
Xi ha visitato le sedi degli organi di stampa e ha di recente richiesto una maggiore presenza del marxismo nelle università. È il consueto disegno di Xi: da un lato spingere sul recupero dei classici, come Confucio, dall’altro accreditarsi nei confronti di quelle fasce sociali più sensibili ai richiami del Partito.
Xi Jinping cerca da sempre di stare in equilibrio tra le diverse pulsioni della società cinese, ben sapendo che in un mondo multipolare le insidie possono arrivare da ogni parte. Le leggi contro le ong e il controllo rigoroso dei media puntano a «sistemare» il rischio che possano essere diffuse idee contrarie alla centralità ideologica, politica e di conseguenza anche economica del partito.
Va detto che il risultato della commissione non deve sorprendere perché di recente molti errori, dal punto di vista del Pcc, sono stati commessi. Ai censori sono sfuggiti dettagli non da poco, come ad esempio la lettera nella quale si chiedevano le dimissioni di Xi Jinping.
Il numero uno, per non sbagliarsi, decide dunque di criticare i responsabili della propaganda, annunciando probabilmente un prossimo giro di vite con persone maggiormente fidate o meno «sbadate».
[Scritto per Eastonline]