Il leader cinese a Mosca da lunedì 20 a mercoledì 22 marzo. Dietro la manovra diplomatica ci sono anche interessi strategici. Ma il mandato d’arresto per Putin offusca i piani di Pechino, almeno in occidente
Mediatore o amico senza limiti. Il mondo aspetta di capire in quale veste Xi Jinping incontrerà Vladimir Putin a Mosca, dove il leader cinese si recherà da lunedì a mercoledì prossimi, nella prima visita all’estero del suo terzo mandato presidenziale e 40esimo faccia a faccia con l’omologo russo.
“Sarà un viaggio di amicizia, cooperazione e pace”. O forse avrebbe voluto raccontarsi così. Più difficile ci riesca dopo che la Corte penale internazionale dell’Aia ha emesso un mandato d’arresto per Putin con l’accusa di crimini di guerra per la deportazione di bambini ucraini. Quantomeno, più difficile che ci riesca in occidente, che era uno degli obiettivi di Xi nella sua manovra diplomatica tra Russia e Ucraina. Prima ancora dell’annuncio ufficiale, la Cina aveva infatti avvisato l’ambasciatore dell’Unione europea (Jorge Toledo), della visita del suo leader a Mosca da lunedì 20 a mercoledì 22 marzo. Così come aveva fatto il giorno prima il ministro Qin Gang nella telefonata con l’omologo ucraino Dmytro Kuleba. Dopo il viaggio a Mosca, sarebbe in programma anche una telefonata con Volodymyr Zelensky, attesa sin dall’inizio della guerra.
Il piano rischia ora di saltare, con la bilancia che agli occhi occidentali potrebbe pendere in maniera molto più decisa sulla cosiddetta “amicizia senza limiti” con Putin. D’altronde, il Cremlino ha fatto sapere che i due leader firmeranno una dichiarazione congiunta sull’approfondimento della partnership che farà entrare le relazioni “in una nuova era”. Pechino ha invece sottolineato che il rapporto con Mosca si fonda “sulla base di una non alleanza, non ostilità e del non mettere nel mirino alcuna terza parte”. Il tutto in linea con la retorica del multipolarismo con caratteristiche cinesi, dove gli Stati Uniti sono descritti come un agente di instabilità per la loro “mentalità da guerra fredda”. Tanto che la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, sostiene che “Cina e Russia stanno promuovendo più democrazia nelle relazioni internazionali”.
Ma, secondo Alexander Gabuev, esperto di rapporti sinorussi del think tank Carnegie Endowment for International Peace, “il vero contenuto del viaggio di Xi in Russia saranno discussioni sul rafforzamento dei rapporti militari e commerciali”. La priorità di Xi non è quella di invischiarsi in una complicatissima mediazione, ma semmai trarre vantaggio dalla crescente dipendenza di Mosca. Dopo il pranzo informale di lunedì, Xi e Putin svolgeranno i colloqui ufficiali martedì, prima di una cena di Stato tra le mura del Cremlino. Possibili annunci in materia di semiconduttori, un capitolo cruciale (con risvolti militari) della contesa tecnologica in cui Washington sta cercando di escludere i due rivali dalle catene di approvvigionamento. Ci si aspetta poi un aumento delle esportazioni russe di petrolio e gas in Cina. Occhi sul Power of Siberia 2, il nuovo gasdotto in fase di costruzione che aumenterà esponenzialmente i rifornimenti per la Cina passando attraverso la Mongolia.
Xi vorrebbe comunque capitalizzare diplomaticamente la sua manovra tra Cremlino e Zelensky, ribadendo il sostegno cinese alla soluzione politica e il no all’escalation nucleare. L’appoggio alla tutela della sovranità e integrità territoriale sarà come sempre accompagnato (o subordinato) alla “necessaria presa in considerazione delle legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi”, ergo la Russia. Da capire quanto sarà esplicita la critica a chi “getta benzina sul fuoco”, ma è quasi certo resti confinata agli Usa, vista la tela diplomatica tessuta da Xi tra Europa (ad aprile incontrerà tra gli altri Emmanuel Macron), Medio Oriente (dove ha favorito l’accordo tra Iran e Arabia Saudita) e America latina (sempre ieri annunciata anche la visita a Pechino del presidente brasiliano Lula dal 26 al 31 marzo).
Mediatore, amico senza limiti, oppure padrone. Forse Xi è un po’ tutti e tre.
Certo la decisione dell’Aia sembra complicare i piani cinesi. Il tribunale non è riconosciuto né da Mosca né da Pechino, che ne sminuirà la rilevanza ricordando peraltro che non vi aderiscono nemmeno gli Stati Uniti. Ma la Cina vivrà la decisione come un nuovo sabotaggio alla sua iniziativa di apparente mediazione. Lo stesso modo in cui viene vissuta la notizia data da Politico, secondo cui tra giugno e dicembre 2022 delle aziende cinesi avrebbero inviato ad aziende russe circa un migliaio di fucili d’assalto e attrezzature di possibile utilizzo militare, come parti di droni e giubbotti anti proiettile. Pechino ribadisce di non aver mai inviato armi alle due parti del conflitto e di aver “sempre controllato l’export di beni dual use“.
La sensazione è che dietro, o meglio al di sopra, di quanto accade in Ucraina si giochi una sfida politica e retorica tra Pechino e Washington. Dove entrambe cercano di presentarsi come “potenza responsabile” e “garante di stabilità”. La Cina ha segnato un punto ospitando la firma dell’accordo che ha rilanciato i rapporti tra Arabia saudita e Iran, confermando il suo rafforzato ascendente politico in Medio oriente. Gli Usa non vogliono lasciare che Pechino possa incunearsi in Europa, convincendo qualcuno ad assumere una postura meno atlantista in politica estera.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.