Mao è ormai solo un’icona? Il Pcc si appresta all’appuntamento più importante del decennio con un’idea: eliminare il pensiero di Mao dal suo Statuto. Sarebbe il duro prezzo da pagare per la stabilità del Partito. Resta da vedere se il suo ritratto continuerà a vegliare su piazza Tian’anmen.
Finirà che i giovani cinesi si ricorderanno più di “Obamao” che non di Mao, il Grande Timoniere. Mentre Pechino guarda sorniona alle elezioni americane (fosse un elettore Usa, la Cina è probabile che non andrebbe a votare) il Partito Comunista più grande al mondo prepara il suo congresso, l’8 novembre.
Non senza sorprese: un documento riservato, emendato in un recente incontro dei leader, farebbe fuori niente meno che il pensiero di Mao Zedong dalle linee guida ideologiche del Partito. Si tratta di uno dei tanti documenti che il prossimo Congresso, il diciottesimo, dovrà ratificare.
Più denghiana che maoista, in questo modo la Nuovissima Cina sancirebbe quanto di già informalmente si osserva da anni. Del resto se Deng seppe aprire il paese ai capitali e sfruttare la forza lavoro locale per creare il miracolo cinese, allo stesso modo mantenne intatto il dogma maoista circa la centralità del Partito: una linea conduttrice che non viene certo rinnegata, anzi. Il Partito è sempre più presente nella vita politica locale e anche per questa ragione, per mantenere tale status quo, il grande sacrificato potrebbe essere proprio il Timoniere.
Ai residenti di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, in questo periodo pre-congressuale caratterizzato da una guerra senza confine all’interno del Partito, non devono essere sfuggiti alcuni particolari seguiti all’epurazione di Bo Xilai. Quest’ultimo, ex leader del Pcc a Chongqing, forte della retorica maoista aveva saputo catalizzare attorno a sé quel magma ideologico che abbiamo definito “nuova sinistra”.
Con la sua caduta, i leader cinesi, hanno sperimentato la frammentazione di questa “fazione”: senza un punto di riferimento, Bo Xilai, la “new left” ha finito per diramarsi in varie correnti. Non ultime quelle che, secondo alcuni analisti con lo zampino dell’esercito, hanno portato in piazza durante le manifestazioni anti giapponesi, per le isole contese, proprio l’effige di Mao. Un segnale poco rassicurante per il weiwen, ovvero “il mantenimento della stabilità”.
E – sarà un caso – il documento dei leader politici trapela nelle note della rigorosa Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale, proprio un giorno dopo l’apparire di una lettera partita dal sito RedChina, altro filo della nuova sinistra, in cui veniva chiesta clemenza nei confronti di Bo Xilai, invitando il Partito a rivedere il caso.
I seguaci dell’ex leader neomaoista – che verrà processato a breve – sembrano intenzionati a non mollare e il Partito, per salvaguardarsi, sembra disposto ad abbandonare l’ultima ancora storica che la lega a Mao: ovvero il suo statuto, che pone tra i pilastri il pensiero del fondatore della Repubblica Popolare.
Un evento che sarebbe storico, benché scontato in questa Cina contemporanea: già nella cerimonia inaugurale delle Olimpiadi nel 2008, Mao non venne mai citato. C’è da chiedersi che fine farà la sua foto all’ingresso della Città Proibita, a Tien’anmen. In quel caso, forse, il Politburo avrà clemenza: del resto come icona pubblicitaria e nulla più, Mao sembra ancora funzionare.