WaveMakers, serie Netflix uscita nel 2023, racconta le vicissitudini dell’ufficio stampa di un partito politico taiwanese, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Al centro della vicenda vi è la storia di una ragazza dell’ufficio stampa del partito, che accusa un collega di molestie sessuali. WaveMakers ha rafforzato il movimento #MeToo a Taiwan. Articolo realizzato in collaborazione con Gariwo – La Foresta dei Giusti
“Non lasciamo perdere, questa volta”. È cominciato tutto da qui, da una delle scene più emotivamente cariche di WaveMakers, la serie taiwanese diventata un fenomeno su Netflix. Da quando è uscita sulla piattaforma di streaming statunitense, lo scorso 28 aprile, su Taiwan si è abbattuta un’onda di #MeToo. Una necessità, probabilmente, su un’isola presa spesso a esempio come simbolo dell’avanzamento dei diritti civili in Asia. In effetti, dal 2019 è l’unico luogo del continente che consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Da poche settimane è possibile anche l’adozione per le coppie omosessuali. Eppure, nonostante al palazzo presidenziale sieda dal maggio del 2016 una donna, Tsai Ing-wen, la società taiwanese è ancora fortemente intrisa di strutture patriarcali.
WaveMakers racconta in maniera precisa e più che realistica quanto si muove in una campagna elettorale taiwanese, non solo e non tanto dal punto di vista della politica ma anche e soprattutto da quello della comunicazione. La storia è immaginata in una situazione speculare a quella reale: ci si trova a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, anche se al governo sembra esserci un partito che, pur avendo un nome fittizio (Democrazia e Pace), è simile all’attuale opposizione del Kuomintang (KMT). La trama segue, invece, il gruppo di lavoro dell’ufficio stampa del partito sfidante. Anche qui il nome è immaginario, Partito della Giustizia, ma tutto sembra ricordare il Partito progressista democratico (DPP) dell’attuale presidente Tsai. A partire dalla figura della candidata leader, anche lei una donna con ideali progressisti e dalla vita privata solitaria.
Al centro della vicenda raccontata della serie c’è una ragazza dell’ufficio stampa che denuncia di aver subito molestie sessuali da un collega di partito. I dirigenti sembrano voler insabbiare tutto, ma la sua diretta superiore dell’ufficio stampa (che soffre della mancata approvazione del padre della sua relazione omosessuale con la compagna che vorrebbe sposare) resta al suo fianco e non si accontenta della reazione che sembra seguire una prassi comune che tende a minimizzare gli abusi e a disincentivare le denunce. La stessa ragazza ha nel suo passato un’inconfessabile relazione col candidato vicepresidente del partito di maggioranza, un uomo di potere che ha sfruttato un rapporto consensuale per ricattare la giovane e far pesare la sua posizione privilegiata.
Dall’uscita di WaveMakers, oltre 100 donne si sono fatte avanti per accusare di molestie e abusi sessuali figure di spicco della politica, dell’arte, del mondo accademico e della società civile taiwanese. A rompere il ghiaccio è stata Chen Chien-jou, ex impiegata del DPP. In un post su Facebook, Chen ha scritto di essere stata toccata in modo inappropriato da un regista durante un viaggio in auto dopo le riprese di un video promozionale del partito. Sostiene che quando si è lamentata con l’alta funzionaria Hsu Chia-tien, all’epoca a capo del dipartimento per l’uguaglianza di genere del partito, questa ha risposto: “E allora? Cosa vuoi che faccia?“, chiedendo poi perché Chen non avesse urlato o cercato di fuggire dal veicolo. Un confronto impietoso tra realtà e finzione, dove la superiore della protagonista non minimizza ma anzi la sostiene.
Nei giorni successivi al post di Chen, diversi alti funzionari del DPP si sono dimessi, compresa Hsu. Anche il capo del partito e candidato alla presidenza nelle elezioni in programma il prossimo gennaio, Lai Ching-Te, si è dovuto esprimere sulla questione, impegnandosi pubblicamente a riformare il modo in cui il partito gestisce la cattiva condotta sessuale.
La denuncia di Chen ha rotto un argine che evidentemente aspettava solo di una spinta per essere cancellato. Tra le figure più note accusate di molestie c’è Yen Chih-fa, che ha negato le accuse ma si è dimesso dal suo incarico di consigliere di Tsai. Tsai Mu-lin, un funzionario di alto livello del DPP, è stata accusata di aver costretto al silenzio una collaboratrice del partito che aveva denunciato il tentativo di un collega maschio di entrare nella sua stanza d’albergo. Lo scandalo ha coinvolto anche alcuni funzionari del KMT, che inizialmente aveva pensato di poter capitalizzare politicamente le denunce all’interno del partito di maggioranza in vista del voto del 2024.
Nel mirino anche Bartosz Rys, ex direttore dell’Ufficio di rappresentanza della Polonia a Taipei, che ha già lasciato lo scorso anno. La 27enne Lai Yu-fen lo ha accusato di molestie sessuali, raccontando che quando ha sporto denuncia alla polizia, gli investigatori le hanno chiesto perché si fosse scusata con il diplomatico rifiutando le sue avances e perché non avesse raccontato l’incontro alla sua famiglia.
Non sono state risparmiate figure in vista della vita sociale e culturale di Taiwan. Il più alto organo giuridico di Taipei ha dichiarato che indagherà su una denuncia contro un ex giudice capo, Lee Po-tao. Mickey Huang, un noto personaggio televisivo, si è scusato dopo essere stato accusato da una donna incontrata al lavoro di averla baciata senza il suo consenso e di averla costretta a farsi fotografare nuda. Aaron Yan, una pop star, si è scusato dopo che un ex fidanzato lo ha accusato di aver girato di nascosto dei video in cui facevano sesso, quando l’ex fidanzato aveva 16 anni ed era minorenne.
Non è certo escluso che possano sorgere nuovi casi. Ovviamente da accertare, ma è più che significativo che in una società dove spesso si è abituati ad accettare i comportamenti dei superiori sia sorto un movimento così deciso. Uno sviluppo probabilmente naturale dopo gli enormi passi avanti compiuti a tutti i livelli a partire dall’inizio della transizione democratica che ha posto fine alla legge marziale imposta da Chiang Kai-shek nel 1947. Altrettanto significativo che la scintilla sembra essere proprio scaturita da un prodotto televisivo che ha proposto una Taiwan non idilliaca ma decisa a non lasciar più correre, concetto chiave laddove i taiwanesi devono ancora fare del tutto i conti con il doloroso passato del terrore bianco. Se WaveMakers sembrava essere un calco fedele della realtà, alla fine è stata la Taiwan vera che ha deciso di rendere la realtà un po’ più simile alla fiction.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.