Nella strategia di contenimento della Cina Washington potrebbe trovare un alleato inaspettato. Tutti gli indizi portano al Vietnam, oggi coinvolto in una disputa territoriale con Pechino. Un paese che, dagli anni della guerra Usa, conserva ferite profonde. Ma che oggi potrebbe essere disposto a sotterrare l’ascia di guerra. Alcuni falchi statunitensi già lo chiamano “l’alleato emergente” nella strategia di contenimento dell’influenza cinese in Asia. Eppure i rapporti tra Vietnam e Stati Uniti non sono mai stati facili. Quello che è stato considerato il più grande conflitto armato dopo la Seconda guerra mondiale ha lasciato sul campo tre milioni di vietnamiti e strappi difficili da ricucire.
Il Vietnam si è poi ispirato al “socialismo con caratteristiche cinesi” come modello economico da perseguire in vista di una necessaria modernizzazione. Come la Cina, la Repubblica socialista – anch’essa guidata dal Partito (unico) comunista – è entrata nel Wto (2007) e si è gradualmente riavvicinata agli Stati Uniti. E oggi fa parte dei sempre più numerosi paesi asiatici che sperano negli Stati Uniti per controbilanciare una Cina sempre più arrogante.
I rapporti tra i due vicini formalmente comunisti si sono definitivamente deteriorati all’inizio di maggio. Pechino ha deciso di inviare una piattaforma petrolifera nelle acque contese delle isole Paracelse, nel Mar Cinese Meridionale. Hanoi ha protestato formalmente, ma è rimasta inascoltata. Il risultato è stato una sorta di pogrom anti cinese: migliaia di vietnamiti hanno assaltato le fabbriche cinesi (o presunte tali) presenti sul territorio. Ci sono stati almeno quattro morti e oltre 150 feriti.
Ma al di là della fiducia degli investitori stranieri che Hanoi dovrà riconquistare, tutti si sono chiesti: dov’è Washington?
Giappone, Corea del Sud e Filippine hanno con gli States relazioni di lunga data. Ma è solo nel luglio dl 1995 che l’allora presidente americano Bill Clinton è riuscito a formalizzare la normalizzazione dei rapporti con la Repubblica socialista del Vietnam. Oggi gli Stai Uniti sono per il Vietnam il terzo partner commerciale e il più grande mercato di destinazione per le esportazioni. Diverse sono state le visite di stato di alto livello e moltissimi i memorandum d’intesa.
A luglio scorso i due paesi hanno firmato un accordo di collaborazione volto a promuovere relazioni bilaterali in diversi settori. Inclusi quelli “della difesa e della sicurezza”.
Secondo indiscrezioni trapelate da quello che è stato un incontro a porte chiuse lo scorso ottobre, il Pentagono avrebbe offerto consulenze in merito “alla polizia marittima del Vietnam e ai guardacoste statunitensi”. Un’intesa che sembrerebbe ignorare l’embargo sulle armi imposto dagli Usa trent’anni fa e ancora in vigore.
Ma nel suo ‘pivot to Asia’ il presidente Obama si è recato in Giappone, Corea del Sud, Malaysia e Filippine. Gli obiettivi del viaggio erano riaffermare la presenza americana in una regione chiave e promuovere il Tpp, un progetto di libero scambio tra i paesi che si affacciano sul Pacifico. Non ha toccato il Vietnam, che pure rientrerebbe in questi piani. Gli Stati Uniti sarebbero veramente disposti a difendere militarmente il vecchio nemico?
Era il 1975 quando americani e vietnamiti del sud scapparono da Saigon sugli elicotteri. Le immagini del fotoreporter olandese Hubert Van Es sono passate alla storia e forse ancora bruciano. A distanza di trent’anni, la domanda rimane la stessa: l’inimicizia tra i due paesi, è veramente superata?
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