Il giro di vite sulla libertà d’espressione in Vietnam sta colpendo blogger ed artisti indipendenti. Colpa dell’articolo 88 del codice vietnamita, che prevede pene fino a 20 anni di carcere per i dissidenti interni. Una legge-arma sempre più utilizzata da un governo fortemente contestato dall’opinione pubblica.
Dieci anni di prigione per sette note sul pentagramma. Dopo bloggers, attivisti per i diritti civili e militanti democratici, la morsa della censura vietnamita serra le sue fauci intorno ai musicisti. Il 30 ottobre Vo Minh Tri, meglio noto come Viet Khang, e Tran Vu Anh Binh sono stati condannati da una corte di Ho Chi Minh City a quattro e sei anni di galera per aver composto canzoni critiche nei confronti del governo.
Posti in stato d’arresto alla fine del 2011, i due artisti hanno atteso per quasi un anno di conoscere il responso delle autorità in merito alle accuse formulate dai magistrati nei loro confronti, e alla fine, dopo cinque ore di processo, il giudizio emesso dal tribunale ha superato di gran lunga le peggiori aspettative di tutti i gruppi e le organizzazioni umanitarie che hanno seguito l’iter giudiziario della vicenda.
Amnesty International ha definito la sentenza “ridicola”, sottolineando che la crescente censura voluta dalle autorità del Partito comunista vietnamita, da sempre considerata una delle più oppressive ed efficienti tra tutte le dittature del pianeta, ha ormai raggiunto picchi impensabili rispetto a un anno fa. Un giudizio condiviso da Human Rights Watch, secondo cui l’ondata repressiva scatenata per volere del primo ministro Nguyen Tan Dung non ha precedenti nella storia del Paese.
Ai microfoni della stampa internazionale l’avvocato dei due musicisti, Tran Vu Hai, ha spiegato che il crimine per cui è stato condannato Binh (38 anni) è quello di aver composto 11 canzoni contenenti propaganda antistatale e di averle postate su un blog da lui gestito, mentre Tri (34 anni) è stato condannato per due canzoni, intitolate “Dov’è il mio Vietnam?” e “Chi sei tu?”.
I testi delle melodie, alcune delle quali rintracciabili anche su Youtube, criticano la crescente diseguaglianza tra ricchi e poveri e la corruzione diffusa tra i politici, invitando i cittadini a mobilitarsi contro le autorità che stanno svendendo il Paese agli stranieri, e alla Cina in primo luogo.
Oltre a ciò i due musicisti sono stati ritenuti colpevoli della distribuzione di volantini dal contenuto sovversivo e di aver diffuso su internet foto e video della bandiera della ex Repubblica del Vietnam, che ha governato il Sud del fino al 1975, anno in cui è stata sconfitta dall’antagonista comunista del Nord.
L’accusa di propaganda antistatale rientra nei crimini contemplati dall’ormai celeberrimo articolo 88 del codice criminale del Vietnam, una norma-arma cui con cadenza ormai quasi settimanale le autorità sono solite far ricorso per colpire ogni forma di dissidenza interna. In base al dettato della legge, chiunque sia condannato sulla base di questo articolo può ricevere una pena che arriva fino a 20 anni di prigione.
È stato proprio il terribile 88 a determinare all’inizio di ottobre l’arresto dei tre blogger Panh Than Hai, Ta Phong Tan e Nguyen Van Hai, accusati di “divulgazione di notizie illecite che fomentano l’agitazione popolare” e “diffamano l’amministrazione pubblica”.
Il primo dei tre, che gestiva un blog con lo pseudonimo di Anh Ba Saigon, è stato condannato a 4 anni di reclusione dopo essersi dichiarato colpevole e aver accettato di interrompere qualsiasi contatto con “ambienti sovversivi”.
Tan, la cui madre è morta anni addietro dopo essersi data fuoco per protestare contro l’arresto della figlia, è stato chiamato a scontare dieci anni. La condanna più pesante è toccata ad Hai, divenuto molto popolare in rete con il nickname di Dieu Cay (La pipa del contadino) e già finito in prigione nel 2008 per aver invitato i vietnamiti a boicottare le Olimpiadi di Pechino. Per lui la restrizione della libertà durerà 12 anni.
Un quarto blogger, Le Xuan Lap, che ha aiutato i tre a redigere le “421 storie che distorcono la verità sullo Stato e il partito, creando ansia tra la popolazione”, è stato posto sotto stretta osservazione delle autorità.
Il giro di vite deciso dai vertici del Partito comunista vietnamita contro attivisti e dissidenti è coinciso con un anno particolarmente difficile per il Paese. Proprio pochi giorni fa il primo ministro Dung ha rivelato che il Vietnam sta lottando per raggiungere l’obiettivo di una crescita del 5,2 per cento del Pil, il più basso in assoluto dal 1999. Il tutto mentre la banca centrale fatica a trovare soluzioni valide per contenere un livello di indebitamento tra i peggiori di tutta l’Asia e gli investitori stranieri stanno cominciando ad abbandonare il campo.
A fronte di queste pessime performance, il malcontento popolare è andato aumentando, anche per reazione all’improvviso arricchimento di una serie di personaggi con forti aderenze negli ambienti della politica e alla sempre più palese corruzione dei suoi esponenti.
Lo scontento ha raggiunto un tale livello che all’inizio di ottobre il partito è stato costretto a chiedere pubblicamente scusa per alcuni errori commessi nell’amministrazione del bene pubblico e per il comportamento poco consono di alcuni suoi membri. Diversi analisti erano addirittura arrivati a scommettere che il meeting delle alte cariche del partito che si è concluso a metà ottobre si sarebbe concluso con le dimissioni di Dung.
Una previsione rivelatasi poi errata: alla fine dell’incontro il primo ministro si è limitato semplicemente ad ammettere alcune defaillance nella gestione di casi di corruzione e nepotismo, per poi tornare subito dopo a lucidare il pugno di ferro con cui è solito esercitare il potere e manovrare il tentacolare meccanismo della censura statale.
Un ingranaggio sempre più sofisticato, che nell’ultimo anno ha subito migliorie e aggiustamenti tali da portare il Vietnam a scivolare di sette posizioni nel Press freedom index, collocandolo al 172esimo posto, appena sei gradini più in alto dell’insuperabile Corea del Nord.
Attualmente, secondo Reporters without borders, il Paese, in cui il numero di utenti internet rappresenta ormai il 34 per cento della sua popolazione di 90 milioni di individui, è superato solo da Cina e Iran per numero di blogger e internauti dissidenti posti in stato d’arresto.
A fare le spese della crescente repressione, comunque, non sono solo i frequentatori della rete. Il 24 ottobre Nguyen Phuong Uyen, studentessa di 20 anni, è stata accusata di propaganda sovversiva per aver distribuito volantini contenenti “materiale contrario agli interessi dello Stato”.
La ragazza era stata arrestata dieci giorni prima, quando una dozzina di agenti delle forze dell’ordine erano entrati in casa sua e l’avevano prelevata senza fornire spiegazioni.
“Ora siamo uniti in un blocco di sofferenza/ Ora siamo uniti in un blocco di odio/ O Vietnam del Sud, dal giorno della tua sconfitta/ Ho sofferto mille, decine di migliaia di agonie”. I versi della raccolta di poesie dell’artista dissidente Thus Nguyen Chi Thien, pubblicata fuori dal Vietnam con il nome I fiori dell’inferno e vincitrice dell’International poetry award nel 1985, descrivono con poche semplici parole il desiderio di democrazia sempre più diffuso tra la popolazione vietnamita.
Dopo una vita passata a lottare contro il regime del suo Paese, Thus Nguyen Chi Thien si è spento il 2 ottobre in un ospedale di Santa Ana, California, all’età di 73 anni. I giornali vietnamiti non hanno neppure riportato la notizia. La prima regola della censura è la condanna all’oblio per i nemici del potere.
[Foto credit: teolangthang.blogspot.com]
* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.