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Victor Gao, basta alle ingerenze Usa: «Non è più tempo di crociate»

In Cina, Economia, Politica e Società, Interviste by Alessandra Colarizi

Parla Victor Gao, analista politico e interprete di Deng Xiaoping negli anni Ottanta. «Le esercitazioni cinesi hanno dimostrato che nessun intervento militare esterno sarà mai permesso»

Perché ritiene che la visita di Pelosi abbia incontrato una risposta così forte da parte cinese? Pelosi non è la prima speaker della Camera ad aver visitato l’isola. Crede che possa aver inciso il fatto che Pelosi è nota per le sue invettive sui diritti umani?

Pelosi ricopre la terza carica nella gerarchia americana ed è seconda nella linea di successione per la presidenza. E’ vero che Pelosi non è la prima speaker della Camera a visitare Taiwan. Ma il contesto generale è mutato da quando a recarvisi fu Newt Gingrich. Innanzitutto perché Pelosi appartiene al partito democratico come Biden. In secondo luogo, venticinque anni fa il movimento separatista taiwanese non era feroce quanto lo è adesso. La Cina ha messo in chiaro fin da marzo, attraverso canali diplomatici, che si opponeva alla visita. Lo ha fatto con mezzi pacifici. Ma la nostra richiesta è rimasta inascoltata. La Cina è disposta a utilizzare qualsiasi espediente per difendere la propria sovranità territoriale. La reazione cinese quindi non è esagerata, bensì proporzionata alla gravità della violazione americana della politica “una sola Cina”.

Biden aveva fatto varie rassicurazioni durante l’ultima conversazione con Xi sugli impegni presi al momento dell’instaurazione di relazioni ufficiali negli anni 70′. Ritiene che la visita di Pelosi abbia compromesso la credibilità di Biden agli occhi della Cina? 

Penso che i commenti di Biden sul rispetto della politica “una sola Cina” siano una buona cosa. Ma le parole non bastano, servono i fatti. La visita illecita si inserisce in una nuova strategia americana in cui Taiwan non è più considerata parte della Cina. Gli Stati uniti stanno cercando di promuovere una visione tra blocchi di paesi contrapposti, dove Cina e Taiwan si trovano su lati opposti. Gli Stati uniti vogliono incoraggiare la guerra e il conflitto trascinando Taiwan dalla loro parte e mettendola contro la Cina. Quando Biden parla di “una sola Cina” deve capire di cosa sta parlando: esiste solo una Cina, di cui Taiwan fa parte, e la Repubblica popolare cinese è l’unica rappresentante legale della Cina. Questa è l’unica verità riconosciuta da 180 paesi, l’unico principio cardinale. Chiunque viola questo principio ne soffrirà le conseguenze. 

Circolano voci di una possibile rimozione parziale delle tariffe americane. Quanto pesano ancora le sanzioni commerciali sui rapporti tra Cina e Usa?

Il prezzo delle tariffe commerciali imposte da Washington non lo sta pagando la Cina, non lo sta pagando il governo cinese. Lo stanno pagando gli Stati uniti, lo pagano i consumatori americani e gli importatori americani. Biden deve dire la verità agli americani invece di mentire, come ha fatto Trump. La Cina spera che il commercio bilaterale diventi più equilibrato e sostenibile. I dazi non sono la soluzione. Gli Stati uniti dovrebbero aumentare il valore del proprio export verso la Cina: non solo petrolio, gas e grano, ma anche alta tecnologia. Chiudere le porte al mercato cinese, trattare la Cina come un nemico, non è nell’interesse degli Stati uniti. 

Le esercitazioni militari cinesi e la recente sospensione dei meccanismi di dialogo tra le forze armate annunciata da Pechino accrescono la possibilità di un errore di valutazione con gli Usa. Ritiene ci sia davvero il rischio che la “trappola di Tucidide” si avveri?

La teoria della trappola di Tucidide, introdotta da Graham Allison nel suo libro “Destined for war: can America and China escape Thucydides’s trap?” parte da un’analisi storica dei grandi conflitti del passato per affermare che Cina e Stati uniti sono destinati ad affrontarsi in una guerra. Ma Allison ha fatto un grave errore accademico basando la sua tesi su casi di guerre convenzionali. Cina e Stati uniti sono potenze nucleari. Hanno entrambi i mezzi per annientarsi a vicenda in molti modi. Una guerra sarebbe una calamità per l’umanità intera. Penso che Allison abbia ingannato il mondo e confuso i decision maker americani inducendoli a credere che il destino di Cina e Stati Uniti sia quello di uno scontro. Piuttosto sono favorevole a supportare la tesi della “pace inevitabile” tra Cina e Stati uniti. 

Applicando tutto questo al contesto taiwanese, la Cina ha dalla propria parte la storia. Dopo la fine della guerra civile cinese, conclusasi con la riunificazione del paese da parte dei comunisti e la fuga dei nazionalisti sull’isola, Taiwan è rimasta l’ultimo pezzo mancante. Liberare Taiwan è quindi considerata una missione dal popolo e dall’esercito cinese. Dagli anni ‘80 Pechino si è impegnato in tutti i modi a raggiungere questo obiettivo con mezzi pacifici. Quando Cina e Stati uniti hanno stabilito rapporti diplomatici negli anni ‘70 Pechino ha chiesto a Washington di accettare tre condizioni: interrompere il riconoscimento diplomatico di Taiwan, ritirare tutte le truppe dall’isola, e abrogare il trattato difensivo con Taiwan.  Gli Stati uniti non possono far finta di ignorare il passato. 

Quando si valutano i rischi di una guerra va messo in chiaro che Taiwan non ha la stessa importanza per la Cina e per gli Stati uniti. La Cina è completamente concentrata sulla missione della riunificazione. Il governo ha il sostegno di tutto il popolo cinese. Gli Stati uniti hanno molti interessi in giro per il mondo, in Europa e in Medio Oriente. Per la Cina, invece, Taiwan è un focus totale. La posizione mantenuta oggi dagli Stati uniti ingigantisce in maniera fuorviante l’importanza di Taiwan per la politica americana. Taiwan non è parte degli Stati uniti, e non è parte della NATO. Nel caso di una guerra, questa diversa dedizione alla causa taiwanese della Cina pensate non farebbe alcuna differenza? Pensate non farebbe differenza in termini di mobilitazione di risorse necessarie? La guerra non è solo aerei, sottomarini, e missili. Ci vuole dedizione e la Cina e pienamente determinata a concludere la riunificazione. Questo è un problema che deve risolvere la Cina, nessun paese straniero deve interferire o creare confusione. 

Il fattore ideologico ha un peso sempre maggiore nelle tensioni con le democrazie occidentali. Ed è più difficile da superare rispetto alle rivalità economiche perché riguarda la natura del sistema politico e le radici culturali dei popoli. E’ d’accordo con questa affermazione? Ritiene sia corretto parlare di “nuova guerra fredda”?

Nessuno può negare che il mondo sia composto da sistemi di valori diversi. L’importante è non cercare di imporre i propri “idoli” agli altri come è stato fatto in passato. La Cina non accetterà mai i vostri valori, la vostra cultura e i vostri sistemi politici. Però li rispetta.  Queste diversità valoriali che esistono nel mondo di oggi non devono diventare un pretesto per sostenere un ritorno alla divisione in blocchi. La Cina esporta molte cose, ma non esporta il proprio sistema politico. Non ha interesse affinché gli altri assimilino la sua cultura. Il tentativo americano di creare blocchi contrapposti sulla base dei valori è destinato a fallire. Non è più tempo di crociate. Nessuno dovrebbe replicare le violenze e lo schiavismo degli Spagnoli in Sud America e degli americani contro gli indiani e gli africani. 

Ormai la postura di Washington sulla Cina e Taiwan sembra godere di supporto bipartisan al Congresso. Quali misure dovrebbe prendere Washington per riportare in carreggiata le relazioni bilaterali?

L’ostilità tra Cina e Usa non funzionerà perché è contro l’interesse di entrambi. La Cina non è nemica del popolo americano.  Le due parti devono riuscire a superare le differenze e a coesistere pacificamente. La guerra non può essere un’opzione. Certamente i due paesi sono molto diversi da vari punti di vista. Ma il mondo è un mondo di diversità. Nessun paese, nemmeno gli Stati uniti, deve cercare di imporre i propri valori agli altri. La Cina considera tutte le nazioni, grandi e piccole come alla pari, e rispetta le differenze. Penso che gli Stati uniti farebbero meglio a capire che la Cina è una realtà con cui devono imparare a convivere. E’ sbagliato partire dal presupposto che l’unico modo per interagire sia quello di privare la Cina del diritto a svilupparsi economicamente.

Se si prende in considerazione il Pil a parità di potere d’acquisto, la Cina ha già superato gli Stati uniti e – secondo varie stime – diventerà la prima economia mondiale in termini assoluti entro il 2030. Questo è un trend inevitabile. Per cui la soluzione migliore per l’America è quella di accettare questa realtà. Il problema è che gli Stati Uniti sono convinti che alla crescita economica corrisponda la volontà da parte cinese di imporre la propria egemonia e i propri valori. Non è così. La Cina non vuole diventare un’altra superpotenza, non ha mire egemoniche. L’unico modo per superare tali incomprensioni è che la Cina e gli Stati uniti si parlino di più. Parlino di sé stessi, parlino del modo in cui concepiscono l’ordine globale. 

Nel suo ultimo libro bianco la Cina parla di riunificazione pacifica con Taiwan ma ha rimosso le parti del testo in cui sottolineava la volontà di lasciare ampia autonomia ai taiwanesi e di non mandare soldati e amministratori sull’isola. Come dobbiamo interpretare questo cambiamento? 

La Cina ha mostrato molta pazienza nel cercare di riunificare Taiwan con metodi pacifici. Il principio “un paese due sistemi” – che è stato adottato per Hong Kong – rimane il modello migliore per Taiwan. Ma da sei anni a questa parte, da quando Tsai Ing-wen è stata eletta presidente, i colloqui tra Taiwan e la mainland sono stati sospesi. Nel frattempo il governo taiwanese ha fatto di tutto per portare avanti iniziative separatiste mentre gli Stati uniti hanno incrementato la vendita a Taipei di armi sempre più sofisticate e aumentato le visite di funzionari americani sull’isola. Questi scambi con gli americani si sono intensificati soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

L’ultimo libro bianco serve a riaffermare la determinazione della Cina a perseguire la riunificazione di Taiwan con mezzi pacifici. Ma questo processo non può continuare all’infinito, soprattutto ora che Taiwan sta cercando di cambiare la sostanza del nostro rapporto con l’appoggio statunitense. Nel policy paper è scritto chiaramente che se Pechino e Taipei riusciranno a impegnarsi in un dialogo fruttuoso la riunificazione avverrà con l’introduzione di “un paese due sistemi” e con la concessione di grande livello di autonomia a Taiwan. Ma se questo non dovesse succedere? Se la Cina sarà costretta a utilizzare la forza militare, Taiwan non diventerà una regione amministrativa speciale, come Hong Kong. Diventerà una vera e propria provincia cinese. In questo caso il livello di autonomia sarà chiaramente diverso: Taiwan finirebbe completamente sotto la giurisdizione cinese e le leggi cinesi. Questo è il punto che viene messo in evidenza nell’ultimo libro bianco, che costituisce anche una roadmap per la riunificazione. La Cina riafferma la propria determinazione a portare avanti la missione con mezzi pacifici, ma non abbandonerà mai l’uso della forza se necessario pur di risolvere definitivamente la questione taiwanaese. 

Dopo quanto avvenuto a Hong Kong negli ultimi anni, però, i taiwanesi non ne vogliono sapere di attenersi a “un paese due sistemi”. Anche i nazionalisti sono contrari e non sembra che le presidenziali taiwanesi del 2024 cambieranno qualcosa a riguardo. Cosa spinge Pechino a credere che questa strategia sia ancora perseguibile?

Penso che con le esercitazioni militari avviate in risposta alla visita illecita di Pelosi i taiwanesi, come il resto del mondo, abbiano capito che la Cina ha i mezzi militari per isolare Taiwan. Questo vuol dire che nessun intervento militare esterno sarà mai permesso. E’ un segnale importante per Taipei. La leadership progressista ha a lungo ingannato il proprio popolo sostenendo che non ci saranno conseguenze se verrà affermata l’indipendenza, perché gli Stati uniti interverranno in loro difesa. Persino Biden ha mentito dicendo tre volte che gli Stati uniti proteggeranno Taiwan. Ma con le esercitazioni cinesi tutto questo è stato messo in discussione sotto gli occhi del mondo. La Cina ha cominciato ad operare a est dell’isola e ad amministrare le cosiddette acque territoriali taiwanesi, mostrando così che nessun paese sarà in grado di intraprendere passaggi ostili. Ci vorrà un po’ di tempo perché questo messaggio e questo nuovo scenario diventino comprensibili ai taiwanesi. 

Quanto pesa la politica interna sulla crisi nello Stretto? Pensa che dopo il XX Congresso del partito e le elezioni di midterm negli Usa si possa assistere a un allentamento delle tensioni?

Il Congresso è l’evento politico più importante in Cina perché vedrà un ricambio consistente all’interno della leadership. Sicuramente un nesso con Taiwan c’è: la visita illecita di Pelosi ha reso il popolo cinese, il partito e l’esercito più uniti e più determinati a raggiungere la riunificazione nazionale. Per quanto riguarda le elezioni americane di medio termine, se i democratici – come sembra – perderanno la maggioranza al Congresso, Biden rischia di diventare “un’anatra zoppa”. Ma questa debolezza non necessariamente lo indurrà ad adottare una linea più distensiva; come reazione potrebbe al contrario avviare una politica estera più spregiudicata. Penso che la situazione interna americana vada seguita con grande attenzione perché c’è il serio rischio che degeneri in caos.

Quanto sta avvenendo è molto indicativo del fatto che gli Stati uniti non sono depositari della verità assoluta. Che la democrazia e la separazione dei poteri non sono metodi infallibili. Il sistema politico americano ha dimostrato di avere molti difetti e gli Stati uniti dovrebbero ammetterlo con umiltà. L’indagine dell’FBI a carico di Trump ha creato tensione tra il governo americano e la società. E a prescindere dall’esito delle elezioni di midterm o delle prossime presidenziali penso che alla fine gli Stati Uniti realizzeranno che il loro vero nemico è negli Stati uniti, non fuori. Questo dovrebbe indurre Washington a trattare diversamente la Cina e a promuovere la pace nello Stretto di Taiwan.

Non pensa che la risposta muscolare di Pechino nello Stretto stia anche creando maggiore tensione con gli altri paesi asiatici con cui Pechino ha problemi storici di sovranità? Il Giappone ha preso posizioni piuttosto forti su Taiwan.

Le relazioni con ognuno di questi paesi vanno trattate separatamente in base alle circostanze. Con il Giappone, è vero, Pechino ha contenziosi territoriali nelle isole Diaoyu/Senkaku. Ma bisogna analizzare l’origine della disputa. Storicamente amministrato dalla Cina [imperiale] attraverso la provincia di Taiwan, l’arcipelago fu occupato dal Giappone nell’’800. Dopo la resa del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale le isole passarono sotto il controllo degli Stati uniti, che solo nei primi anni ‘70 ne trasferì i diritti amministrativi al Giappone.

E’ bene ricordare però che tutt’oggi la posizione ufficiale di Washington non prevede il riconoscimento della sovranità giapponese sull’arcipelago. Questo perché, alla fine della guerra, il Giappone ha dovuto rinunciare a tutti i suoi possedimenti territoriali occupati fin dalla fine del XIX secolo. Gli Stati uniti parlano di un ordine mondiale basato sulle regole. Questo ordine mondiale comprende la dichiarazione del Cairo e il trattato di Potsdam, siglati dal Giappone al termine della guerra. Sono fatti storici che vanno tenuti a mente perché se oggi Tokyo dichiarasse guerra alla Cina su Taiwan finirebbe per violare gli impegni presi con la comunità internazionale al momento della sua resa incondizionata. 

La mancata condanna dell’invasione russa dell’Ucraina ha sicuramente inciso sul pressing americano. Non pensa che prendere le distanze dalla Russia aiuterebbe la Cina a migliorare i propri rapporti con gli Stati uniti e anche con l’Europa?

La Russia è un importante fornitore cinese di gas e petrolio. Sono fattori che precedono di molto la guerra in Ucraina. Quindi non possiamo guardare alle relazioni tra Cina e Russia solo nell’ottica di quanto accaduto a febbraio scorso. C’è molta storia alle spalle. Proprio per questo la Cina può essere di esempio, perché ha saputo stabilizzare i rapporti con Mosca dopo aver quasi rischiato una guerra negli anni ‘60. La Russia, la sua civiltà e la sua cultura, esigono rispetto. L’occidente deve trattare la Russia come un paese alla pari anziché minacciare la sua sicurezza. In Europa e nel mondo non ci sarà pace finché la Russia sarà esclusa. Non si può fare finta che non esista. E’ necessario cercare di coinvolgerla, di avviare un dialogo.

La Cina non supporta la guerra. Ma osserva la crisi in Ucraina da un punto di vista oggettivo e pragmatico. Secondo la Cina, questa non è solo una guerra tra la Russia e l’Ucraina, ma anche tra la Russia e gli Stati uniti, e tra la Russia e i paesi NATO. In un certo senso la posizione di Pechino è molto vicina a quella del Papa. Sua Santità ha detto che la guerra era prevenibile e ha indirettamente suggerito che la responsabilità era della NATO. Se i paesi occidentali continuano ad armare l’Ucraina sarà impossibile riportare la pace. Se continuano a imporre sanzioni contro la Russia, i paesi occidentali non faranno altro che nuocere a sé stessi. Abbiamo già visto l’inefficacia delle sanzioni contro Cuba. Con le sanzioni la Russia diventerà solo più forte e feroce. Gli scontri coinvolgeranno anche altri paesi europei con il rischio di una guerra atomica.

Biden ha ragione a dire che un intervento americano scatenerebbe la terza guerra mondiale. Ma la verità è che gli Stati uniti cercano da tempo di soggiogare la Russia e di sabotare la collaborazione energetica di Mosca con l’Europa. Questa è una questione che precede ampiamente la guerra in Ucraina. Alla fine saranno proprio i paesi europei a pagare il prezzo più alto di questa guerra in termini economici e di stabilità sociale. 

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicata in forma ridotta su il manifesto]