Pullman, jeep e poi cavallo, cinque giorni di viaggio da Ulan Bator. Dieci tende coniche compaiono quando il bosco di larici si dirada nell’altopiano acquitrinoso. Sono urts, tepee come quelli dei pellerossa. Appartengono a un popolo di duecento persone la cui vita dipende da un animale: la renna, tsaat in mongolo, e per questo li chiamano tsaatan. Ma loro preferiscono taigiin humus, popolo della taiga, o dukha lar, gente di Tuva, perché è da lì che sono arrivati quando il confine tra Russia e Mongolia svaniva in una terra di nessuno percorsa da uomini e animali. Questo è il loro campo primaverile, nella taiga a duemila metri d’altezza.
Si sono stabiliti nel Khövsgöl Aimag, la regione più settentrionale della Mongolia, tra gli anni Venti e Quaranta del secolo scorso, fuggivano dalla coscrizione obbligatoria e dalla persecuzione dello sciamanismo, la loro religione. L’economia della renna è di pura sussistenza. Non si mangia o commercializza la carne, solo gli esemplari vecchi sono macellati. Si utilizzano invece i prodotti dell’animale vivo, cioè il latte e la forza lavoro per i trasporti e gli spostamenti nomadici. E anche la vita sociale e rituale degli tsaatan ruota attorno all’animale.
La comunità è organizzata in due gruppi: taiga est e taiga ovest. Se però alcune famiglie hanno “troppe” renne, si allontanano ulteriormente dal loro gruppo di riferimento perché così non depauperano il terreno dal muschio, l’alimento base delle renne. Formano così un sottogruppo di poche tende. È un approccio ecologico, sostenibile. Migrano quattro volte l’anno, una per stagione. Il campo invernale è quello più vicino al maggiore centro della zona Tsagaannuur, quello estivo il più lontano e in alta quota. Solo intorno ai 2.500 metri, infatti, il muschio c’è anche nella stagione calda.
Si consiglia di andare nel mese compreso tra l’inizio di maggio e la metà di giugno, quando gli Tsaatan sono al campo primaverile. Prima di quel periodo, la Mongolia è un enorme pantano per via dello scioglimento dei ghiacci invernali. Verso la fine di giugno, la taiga diventa invece un inferno di zanzare voracissime (anche peggio di quelle della bassa padana, figuratevi), tant’è che la migrazione dal campo primaverile a quello estivo avviene alle prime luci dell’alba, quando i maledetti vampiri non sono ancora decollati dall’acquitrino.
La vita qui si svolge pigramente, totalmente immersi nella natura. Giusto per intenderci, per chiamare con il cellulare bisogna farsi due ore di tragitto su per una montagna, dove l’apparecchio può intercettare il segnale che arriva chissà da dove. La scarpinata, ovviamente, si fa con stivali di gomma che avrete comprato due giorni prima nell’ultimo mercato prima della natura incontaminata, a Mörön, il capoluogo del Khövsgöl Aimag. La taiga è un enorme acquitrino. Seguirete anche voi i ritmi della natura, vi laverete poco (in un ruscello), osserverete la mungitura delle renne, intaglierete le corna di un cervo, mangerete per colazione gli avanzi della cena e, forse, parteciperete a qualche battuta di caccia che può durare anche settimane.
Capitolo a parte meritano i rituali sciamanici: sono autentici o uno specchietto per le allodole rivolto ai turisti? Non lo sappiamo, difficile distinguere senza una conoscenza antropologica profonda di questo Paese. Di certo c’è solo che in tutta la Mongolia (non solo nella taiga) sembrano ormai esserci più sciamani che pastori nomadi. Oggi, gli tsaatan, presi a metà tra vita tradizionale e modernità che preme, strizzano l’occhio al turismo. Per farlo, hanno aperto a Tsagaannuur, lo Tsaatan Comunity Visitors Center (per informazioni, vedi link in basso) in collaborazione con la Ong statunitense Itgel Foundation.
Ma la coesistenza con il turismo non è facile: il problema, come per mille altre comunità nel mondo, è che quando in un ecosistema fragile si inseriscono elementi nuovi che vengono dall’esterno, anche con le migliori intenzioni, si rischia di violentare l’ecosistema stesso. Porti le caramelle ai bambini e dopo se le aspettano sempre. Poi perdono i denti. Il turismo va dosato con gentilezza. Deve convivere con la civiltà della renna, con la caccia che dura settimane, con i piccoli rituali del quotidiano. E’ questa la ricetta di una possibile modernità tsaatan. La scommessa per preservare uno spicchio di biodiversità.
Mangiare. Nella taiga c’è poca scelta: latte di renna, cacciagione se c’è (cervi, alci) e viveri portati su dalla steppa (carne bovina o ovina, pasta, riso, patate, carote, cioccolata, farina per fare il pane). In città, consigliamo due dei piatti nazionali mongoli: i buuz (ravioli bolliti ripieni di carne) e lo tsuivan (tagliatelle bollite o fritte con carne e verdura). I prodotti caseari sono una delizia in tutta la Mongolia, specie lo yoghurt.
Arrivare e dormire. Da Milano e Roma, volo Aeroflot su Ulan Bator via Mosca. Il prezzo è compreso tra i 550 e i 700 euro A/R. Da Ulan Bator a Mörön, il capoluogo del distretto di Khövsgöl ci sono due opportunità: o il pullman (stazione degli autobus di Ulan Bator), che è più divertente ma ci mette tra le 18 e le 24 ore, oppure il volo Eznis Airways o Mongolian Airlines, che ci mette un’ora e mezza e costa tra i 130 e i 150 euro circa (240-275mila tugrik mongoli). Da Mörön si prende un pullmino collettivo o si noleggia una jeep con autista (contrattate, ma con l’equivalente di un centinaio di euro dovreste cavarvela) e si arriva a Tsagaannuur nel giro di 13 ore. Lì, rivolgetevi allo Tsaatan Comunity Visitors Center per raggiungere uno dei campi e per penottare. L’alternativa sono i viaggi di Sain Sanaa in collaborazione con Amitaba viaggi (per informazioni, vedi link in basso). Alfredo Savino è un milanese trapiantato in Mongolia che ha aperto una cooperativa di guide e vi sarà senz’altro d’aiuto.
Per informazioni: Aeroflot – Tsaatan Comunity Visitors Center – Amitaba viaggi
[Scritto per Oggiviaggi.it]