La pressione del governo sui principali media giapponesi si avverte sempre più forte. Con la primavera tre volti noti (e seguitissimi) dell’informazione giapponese daranno l’addio al piccolo schermo. E c’è chi sostiene che dietro tutto ci sia il primo ministro Shinzo Abe in persona. Un’amica giapponese mi ripete sempre una frase: «in Giappone certe cose arrivano almeno dieci anni in ritardo rispetto all’Italia». Tocca darle ragione. Quasi quindici anni dopo l’Editto bulgaro di berlusconiana memoria, ma con modalità molto diverse rispetto ai vari Biagi, Santoro e Luttazzi, tre volti noti dell’informazione televisiva giapponese si ritroveranno dalla prossima primavera «disoccupati».
Tra mancati rinnovi contrattuali e pseudo-demansionamenti, Ichiro Furutachi, Shigetada Kishii e Hiroko Kuniya non saranno più alla conduzione dei programmi che li hanno resi celebri: rispettivamente, «Hodo Station» su Tv Asahi, «News 23» della TBS, e «Close-up Gendai» programma di approfondimento giornalistico della tv nazionale Nhk,.
Solo un «ringiovanimento» della programmazione da parte dei dirigenti? Al momento gli interessati non commentano. Ma l’ipotesi che ci sia lo zampino del governo, e del suo vertice, prende consistenza ora dopo ora. Gira voce infatti che Shinzo Abe, il primo ministro conservatore giapponese, e alcuni suoi collaboratori avrebbero avuto cene private con i dirigenti delle principali emittenti del paese. Proprio la scorsa settimana, la ministra dell’Interno e delle comunicazioni Sanae Takaichi aveva ribadito di fronte al parlamento che il governo ha la prerogativa di «sospendere le trasmissioni che non rispettano la neutralità dell’informazione», una neanche troppo velata minaccia a tutti i lavoratori dell’informazione non allineati alla linea ufficiale del governo di Tokyo.
Su Furutachi, forse il volto più popolare dei tre, sono circolate delle voci riguardanti una minaccia di divorzio che la moglie gli avrebbe inviato per farlo smettere di lavorare al suo programma. In nome del suo matrimonio, il giornalista — per 12 anni alla guida di «Ho-sute», come viene comunemente abbreviato il nome della trasmissione — avrebbe deciso di passare il testimone.
Ma i sospetti che non sia stata una scelta del tutto personale si sono infittiti dopo che la moglie in un’intervista a un magazine femminile ha smentito di aver presentato al marito le carte per il divorzio.
Già lo scorso anno, infatti, «Ho-sute» era balzata agli onori delle cronache politiche dopo l’allontanamento di uno dei suoi commentatori di punta, Shigeaki Koga, ex funzionario del ministero del commercio e dell’industria e critico dell’amministrazione Abe. Le voci circolate ad aprile 2015 parlavano di una decisione dei produttori e dello stesso conduttore di allontanare Koga in seguito a pressioni arrivate dai piani alti del governo conservatore.
Negli ultimi mesi dell’anno scorso, la trasmissione era tornata a dare spazio alle critiche all’attuale governo, ospitando studiosi come il costituzionalista Sota Kimura, e offrendo copertura mediatica alle proteste contro le nuove leggi sull’esercito volute da Abe.
Nei casi di Kishii e Kuniya, invece, gli indizi disponibili al momento attuale portano con poco margine di errore alla pista politica. Kishii, oltre che presentatore tv, è giornalista del quotidiano Mainichi, uno dei maggiori quotidiani giapponesi ancora critici nei confronti del «team Abe». Le sue prese di posizione sulla nuove leggi di sicurezza nazionale approvate a settembre 2015 avevano irritato un gruppo di studiosi e parlamentari conservatori, tanto da spingerli a denunciare pubblicamente la mancanza di imparzialità di News 23. Questo avrebbe in qualche modo favorito il suo allontanamento dal prime-time e l’assegnazione a nuove mansioni all’interno del servizio informazione di TBS.
Ma è sul caso Kuniya che si addensano i dubbi più pesanti. Per vent’anni Kuniya è stata anchorwoman di uno dei pochi programmi di indagine e di approfondimento giornalistico della tv pubblica giapponese — una sorta di «Report» — apprezzato per la serietà con cui affrontava importanti temi socio-economici della contemporaneità — dalle nuove forme di povertà all’invecchiamento precoce alla precarizzazione del lavoro . Il suo modello era «Nightline» della ABC. «Iniziò proprio quando studiavo negli Stati Uniti», aveva detto Kuniya a Jeff Kingston del Japan Times a gennaio. Mi ricordo che rimanevo incollata alle sue interviste imparziali e approfondite. Mi ha insegnato cosa doveva essere il giornalismo».
In un’ intervista del 2014 Kuniya aveva fatto, pacatamente, delle domande «non in scaletta» al portavoce del governo Yoshihide Suga, uomo molto vicino al primo ministro Abe, sulla reinterpretazione dell’articolo 9 della costituzione giapponese postbellica. Da quel momento sarebbe stata «marchiata». Suga non avrebbe infatti apprezzato di essere messo in difficoltà pubblicamente.
Nel corso della sua carriera politica, peraltro, il premier giapponese non ha mai esitato ad attaccare giornali e tv che fornivano versioni «non gradite» su fatti storici scomodi. Nel 2005, quando era portavoce del governo, chiese alla Nhk di cambiare alcuni contenuti di un documentario sulle comfort women, le donne costrette a prostituirsi per l’esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale. Con ciò in mente, poco dopo la sua elezione a Abe ha deciso di nominare Katsuto Momii, uomo del campo conservatore vicino al primo ministro, al vertice del consiglio di amministrazione della Nhk. Più di recente Abe aveva attaccato lo Asahi Shimbun, reo con i suoi articoli sulla medesima questione, di aver «infangato» l’onore del paese del Sol Levante nel mondo.
A quelle accuse relative a una serie di articoli pubblicati dal giornale negli anni ’80, era seguita una profonda riorganizzazione dell’editore del quotidiano.
La legge sui segreti di stato del 2013, che prevede il carcere per i giornalisti che divulgheranno documenti segretati, ha ulteriormente stretto il controllo. Non stupisce che oggi il Giappone sia 61esimo nella classifica sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere.
«I media giapponesi si stanno autocensurando. E questo è un fatto preoccupante», ha spiegato al Guardian Sanae Fujita dell’Università dell’Essex. «Non sembrano essere consapevoli del loro ruolo di guardiani imparziali della politica». E la politica non sembra più disposta ad accettare critiche o essere messa in imbarazzo.
[Scritto per Eastonline]