Verso la Supercoppa italiana a Pechino: l’oratorio comunista

In by Simone

In uno spiazzo a ridosso della zona delle ambasciate, dopo cena, i cinesi si sollazzano con i consueti esercizi fisici. C’è chi cammina all’indietro battendo le mani, pare faccia benissimo, chi compie esercizi, chi, maglietta tirata su e panza di fuori, si limita a sedersi sui talloni,  sfumazzare e osservare gli esercizi degli altri. Poi c’è chi gioca a badminton, alcuni bambini si tirano in modo scomposto una palla da basket, nonni e nipoti calciano un oggetto, lo jianzi, simile al volano, di tacco, di punta, in ogni modo. In disparte, invece, c’è un ragazzino, 14 anni circa, con un pallone da calcio. Da solo, percorre la piazzetta da una parte all’altra compiendo finte, doppi passi, veroniche. Fa ogni movimento al rallentatore, poi più in fretta perfezionando il proprio controllo di palla. In Italia sarebbe presto attorniato da altri ragazzi e sicuro comincerebbe una partita. In Cina no, perché il calcio non si gioca per strada. E’ uno degli sport preferiti, ma da guardare, sognando di diventare Cristiano Ronaldo, piuttosto che fare parte di un ingranaggio collettivo perfetto come potrebbe essere il Barca.

Il calcio in Cina equivale a fama, soldi, spettacolo. Quello straniero però, perché il calcio cinese non è preso in considerazione. Recentemente in un articolo di una rivista sportiva, un giornalista prendeva di mira i calciatori cinesi, sostenendo che fossero strapagati per produrre uno spettacolo vergognoso. L’ultima aggressione all’arbitro e conseguente radiazione di un calciatore del Tianjin, ha provocato altro disgusto collettivo per i pedatori locale. Per questo la Supercoppa Italiana si giocherà a Pechino: preferiscono il calcio degli altri e hanno i soldi per portarselo in casa propria.
E forse è anche per questo che un paese di oltre un miliardo di persone non ha mai prodotto undici persone in grado di raggiungere obiettivi importanti nel mondo del football. In Cina gli sport nazionali sono quelli giocati con le “piccole palle”: ping pong e badminton. Non esiste un movimento calcistico giovanile, qualcosa di equivalente ai nostri Pulcini o Esordienti.

In Cina i ragazzi che vogliono giocare a calcio si ritrovano in happening, tornei, organizzati dalle scuole e vengono presi lì dalle squadre professionistiche. Cominciano a giocare in modo serio, quando hanno già quasi diciotto anni. Difficile in questo modo che si sviluppi una cultura in grado di sfornare campioni.

E dire che il calcio è seguitissimo, specie quello italiano. Nel 1982 per la prima volta, vennero trasmessi i campionati mondiali in diretta televisiva. L’Italia di Bearzot entrò nell’immaginario collettivo cinese, tanto che ancora oggi capita che qualche tassista, sapendo di avere un italiano sui propri sedili, esclami, «Italia, Altobelli!», lasciando di sasso il proprio passeggero. Questa passione per il calcio, specie per i campioni e la connotazione prestigiosa, una delle poche, che rimane agli italiani, hanno dato la possibilità ad alcuni imprenditori nostrani di creare da zero un progetto avveniristico e straordinariamente popolare. In una delle tante ex aree industriali, al posto di fabbriche dismesse, è sorto l’Olè Football Alliance. Un centro polisportivo, con campi da calcio, da badminton, ping pong e anche pareti per il climbing. In futuro altri campi, anche a undici e per quanto riguarda il calcio, un progetto già avviato. Una scuola di football per i bambini cinesi dai 7 ai 14 anni, che sia scuola sportiva e anche di vita.

Una delle persone che ha preso in carico il compito di sviluppare il progetto è Oscar Chirizzi, rasta salentino, di Lecce, da tempo a Pechino, animatore delle serate reggae pechinesi di notte e football development manager di giorno. Un titolo sul biglietto da visita che avvicina il riccioluto leccese al sogno di tanti: sviluppare calcio in terre straniere.
Pioniere del calcio. Non senza difficoltà, perché i bambini cinesi vivono sotto una pressione famigliare costante. La legge sul figlio unico fa di loro dei piccoli imperatori, nel bene e nel male. Ultra viziati, ma anche sottoposti a ogni genere di sforzo e attività affinché sollevino le sorti famigliari e siano in grado di mantenere tutti, in futuro: genitori e nonni. «Alcuni genitori sono venuti da noi e si sono posti in un modo tipico della mentalità cinese. Ci hanno detto, o mi assicurate che mio figlio diventa come Cristiano Ronaldo, altrimenti non lo mando certo qui a giocare», racconta Oscar.

Mentre invece lo spirito del centro sportivo è esattamente il contrario: «vogliamo creare quello che qui manca, la cultura sportiva, tanto più di uno sport di squadra: si vince e si perde in undici, non da soli. Inoltre i bambini cinesi sono sottoposti a ogni genere di attività e gli viene completamente a mancare il tempo libero. Noi vorremmo che qui possano vivere qualche ora di anarchia completa, di divertimento, fuori dalle regole ferree che hanno a scuola o nelle varie attività che i genitori gli fanno fare. Una sorta di oratorio comunista, visto che siamo in Cina».

E il centro sportivo compie sforzi non da poco: «i corsi non costano troppo, specie per cinesi che vivono a Pechino, una metropoli in cui il costo della vita è più alto rispetto ad altre città. Inoltre per facilitare la possibilità per i bambini di partecipare alle attività del centro sportivo, abbiamo messo in piedi un servizio di pulmini: li andiamo a prendere a scuola e li portiamo qui. Altrimenti questi ragazzini hanno tutto il giorno completamente carico di cose da fare ed è difficile che i genitori accettino sforzi per un’attività di cui non vedono immediati ritorni. Almeno finché non svilupperemo progetti, già in cantiere, con l’Italia…»
 

[Pubblicato su Il Manifesto il 5 agosto 2009]