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Vecchie e nuove fazioni nella “scatola nera” del Partito comunista cinese

In Cina, Economia, Politica e Società, Uncategorized by Alessandra Colarizi

La “sparizione” dei ministri degli Esteri e della Difesa cinesi, passando per le presunte lotte interne al partito fino all’assenza di Xi al G20. Cosa sta succedendo a Zhongnanhai? Lo abbiamo chiesto a Wu Guoguang, politologo della Stanford University noto negli anni pre-Tienanmen per aver preso parte al gruppo di lavoro per le riforme politiche sotto la guida del premier, Zhao Ziyang. 

A luglio, Pechino ha rimosso Qin Gang – un uomo di Xi Jinping – dalla carica di ministro degli Esteri, dopo un’assenza durata un mese. Qualcosa di simile è accaduto al ministro della Difesa. Stiamo ancora aspettando una spiegazione ufficiale. Qual è la sua opinione sulle ragioni e sulle possibili conseguenze di queste sparizioni? 

È successo qualcosa di insolito, ma non sappiamo esattamente cosa. Ora il ministro della Difesa cinese Li Shangfu sembra seguire il destino di Qin Gang, un altro leader nazionale di cui Xi aveva grande fiducia. Tra le molte incognite, almeno una cosa per me è abbastanza certa: dopo che Xi ha infranto le regole precedenti nella gestione delle promozioni dei quadri, ne è conseguito una sorta di caos: senza norme, come si può mantenere l’ordine interno?

Dopo il XX Congresso dello scorso novembre, il gotha del partito sembra essere interamente composto dai protetti di Xi. L’era del fazionalismo in Cina è davvero finita? Leggendo le sue ultime analisi si direbbe di no. Ma, oltre ai singoli casi, ci sono segnali di una competizione più ampia tra gli alleati di Xi? 

Le vecchie fazioni – quelle che una volta competevano con Xi – sono finite. Ma ora ne stanno emergendo di nuove, come avevo previsto l’anno scorso subito dopo il Congresso. La rivalità tra il premier Li Qiang e il n° 5 del partito, Cai Qi, non è l’unico caso. All’interno del nuovo Consiglio di Stato sono riscontrabili complicate dinamiche tra le diverse reti personali intorno a Li, e ai vicepremier, Ding Xuexiang, e He Lifeng, tre dei leader più potenti del nuovo governo. Anche all’interno del Ministero degli Esteri si sono create fazioni rivali tra Wang Yi e Qin Gang, che hanno portato alla rimozione di quest’ultimo dall’incarico di ministro e al ritorno del primo a capo del dicastero. Anche il caso di Qin riflette bene l’instabilità interna della politica cinese. 

Questo tipo di rivalità rappresenta una minaccia per la stabilità interna del Partito e del Paese? 

Certamente sono dinamiche che producono inevitabilmente contraddizioni e, nel tempo, incoerenze nell’implementazione delle politiche.

Un discusso articolo del Nikkei Asia Review sostiene che quest’estate siano affiorati malumori tra gli anziani del Partito per come Xi sta gestendo il Paese. Ritiene che sia una ricostruzione attendibile? Gli ex leader hanno ancora qualche influenza all’interno del Partito? 

Queste notizie, che in seguito si sono rivelate inaffidabili, sono in realtà il frutto amaro della “politica della scatola nera” del PCC. Non solo il governo cinese non pubblica dati reali; fabbrica anche una serie di informazioni false per ingannare i cittadini e il resto del mondo. Il PCC ha ottenuto un vantaggio informativo dalla sua “scatola nera” politica: appena  trapela una notizia, il mondo esterno la considera una specie di “tesoro”. Questo aiuta il PCC a distogliere l’attenzione dai veri problemi, soprattutto nel contesto di disastri, scandali e fallimenti delle politiche socioeconomiche.

Gli analisti tendono a ritenere che al XX Congresso Xi abbia distribuito le carica apicali sulla base della lealtà anziché del merito. Eppure, il nuovo Comitato Centrale è pieno di tecnocrati: ingegneri aerospaziali o con esperienza nell’industria hi-tech. Che ruolo possono svolgere queste figure nella risoluzione dei problemi economici e nella gestione delle sfide sistemiche?

Il concetto di “tecnocrate” non è chiaro nel contesto della politica del PCC. Dato che la maggior parte dei quadri oggi ha un buon livello di istruzione e un buon background professionale (almeno teoricamente), potremmo in un certo senso dire che la maggior parte di loro (incluso lo stesso Xi) sono tecnocrati. Inoltre i tecnocrati svolgono nella politica del PCC ruoli diversi da quelli a cui vengono associati nelle democrazie; non sono necessariamente capaci a governare, non sono per forza abili a risolvere problemi economici. Questo perché ancora prima di essere tecnocrati sono innanzitutto quadri del PCC. Come possono riuscire a gestire le sfide sistemiche? E’ il sistema politico che determina il loro pensiero e i loro comportamenti, non sono loro a poter cambiare il sistema.

La guerra tecnologica con gli Stati Uniti sta costringendo la Cina a sviluppare autonomamente tecnologia strategica. Ma il modello di Pechino, basato sui sussidi statali, ha già evidenziato vari problemi in termini di inefficienza e cattiva allocazione delle risorse. Pensa che la Cina riuscirà a diventare un gigante dell’innovazione globale?

No, non penso proprio lo diventerà. Invece di creare innovazione, la Cina preferisce copiare gli sviluppi tecnologici degli altri paesi (soprattutto degli Stati Uniti). Finché le economie industrializzate non saranno in grado di attuare il cosiddetto “disaccoppiamento”, la strategia “interna” della Cina in realtà consisterà nell’importare innovazione dall’esterno per far sembrare che stia producendo qualcosa di nuovo internamente.

Alcuni analisti sostengono che Xi abbia ridotto i viaggi all’estero per concentrarsi sugli affari interni, dando ai suoi protégé più spazio per gestire le relazioni diplomatiche. Pensa che questo potrebbe avere ripercussioni sulla posizione internazionale della Cina? L’esito del G20 non è stato troppo favorevole per Pechino…

Credo che sia troppo presto per concludere che Xi abbia ridotto i viaggi all’estero. Vediamo se andrà a San Francisco per l’APEC, il prossimo novembre. Sì, è vero, l’esito del vertice del G20 non è stato favorevole alla Cina. Ma immagino che, prima dell’arrivo dei leader a Nuova Delhi, fossero state portate avanti discussioni a porte chiuse. Dato che la Cina sapeva già quali erano i contenuti e quale sarebbe stato l’esito del vertice, Xi aveva le sue ragioni per non partecipare: ovviamente non voleva dare la sua approvazione di persona.

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su il manifesto]