La Costituzione del Pcc prevede che in ogni impresa privata, villaggio, agenzia, scuola, ente di ricerca, comunità o azienda dell’Esercito di Liberazione popolare con più di tre membri del Partito venga stabilito un primo livello di organizzazione del Pcc. È la prima volta per un’azienda straniera. Era cominciato tutto con i mercati solo per i leader. In un paese continuamente scosso da scandali alimentari, la casta cinese aveva un mercato di fiducia dove poter approvvigionarsi di cibo controllato e organico.
A Zhongnanhai, il Cremlino cinese, c’è un dipartimento speciale che si occupa dei rifornimenti di cibo per la mensa dei comunisti più importanti del Paese: niente pesticidi, fertilizzanti, ormoni per la crescita, additivi chimici, conservanti o prodotti geneticamente modificati. Nessun altro in Cina ha accesso a cibo di così alta qualità.
Negli ultimi anni le prime pagine dei giornali sono state dominate da scandali legati a cosa mangia il popolo: latte alla melamina, olio di scolo, ravioli al cartone, solo per citare gli esempi più noti.
Facendo un parallelo semantico con la parte di città un tempo riservata agli imperatori si potrebbe parlare di cibo proibito. Così, per proseguire la tradizione millenaria, da oggi i funzionari del Partito comunista cinese saranno nutriti – è proprio il caso di dirlo – anche da Carrefour, la catena francese di supermercati che molti nazionalisti cinesi avevano boicottato nel 2008 a seguito delle polemiche con la Francia.
Il 26 giugno Carrefour ha aperto a Pechino una sezione del Partito comunista cinese e uno spazio per la Lega dei giovani comunisti, un passo che segnerà la storia delle aziende straniere in Cina.
Questo tipo di struttura, infatti, è abbastanza normale nelle aziende cinesi di proprietà statale, ma non era mai successo tra le catene di vendita al dettaglio straniere presenti in Cina.
Tra quelle che sono arrivate nel Regno di Mezzo già nel 1995 – come Wal-Mart, Lotus e Metro – Carrefour è la prima a portare la dirigenza del Partito all’interno della sua cultura aziendale.
Stando a quanto dichiarato ufficialmente dalla multinazionale francese, l’azienda ha sempre lavorato per adeguarsi ai paesi in cui apriva e alle nuove clientele.
È così che, in Cina, “ha gradualmente imparato il significato di aprire sezioni del Pcc per far crescere la cultura corporativa, cementare il rapporto tra gli impiegati e sviluppare l’impresa”.
Non è stato facile fare affari in Cina. Carrefour, si è trovato a scontrarsi duramente con Partito e, soprattutto, con i giovani nazionalisti cinesi.
Nel 2008, poco prima delle Olimpiadi di Pechino, nell’intranet cinese circolavano notizie sul fatto che la catena di supermercati avrebbe sovvenzionato il Dalai Lama, tanto che Carrefour, per evitare che venisse boicottata su tutto il territorio nazionale, fu costretta a negare ufficialmente di aver avuto a che fare con “organizzazioni politiche illegali”.
E nell’ultimo anno la compagnia è stata investita da una serie di scandali relativi a qualità del cibo, manipolazioni di prezzi e salari troppo bassi tanto da rischiare la chiusura di alcuni negozi. Non stupisce allora, che voglia stare alle regole del più forte.
D’altronde è la stessa costituzione del Partito comunista cinese ad affermare che “in ogni impresa privata, villaggio, agenzia, scuola, ente di ricerca, comunità, azienda dell’Esercito di Liberazione popolare che abbiano al loro interno più di tre membri del Partito bisogna stabilire un primo livello di organizzazione del Pcc”.
Ecco, rispettando le regole comuniste, Carrefour coltiva le relazione con i funzionari di Partito. D’altronde, se è vero che l’uomo è ciò che mangia, quei funzionari non sono più comunisti. Da tempo.
[Scritto per Il Fatto Quotidiano Online; Foto Credits: infoseekchina.files.wordpress.com]