Un’altra campagna – L’urbanizzazione cinese

In by Simone

Da Shenzhen a Pechino, storia di una trasformazione estremamente veloce e della mancata integrazione tra paesaggio urbano e umano

L’urbanizzazione in Cina ha avuto inizio dopo la Rivoluzione culturale. Shenzhen è stata la prima località a sperimentarla, in un processo durato circa dieci anni: un tempo estremamente rapido in cui un piccolo villaggio di pescatori si è trasformato una nuova città, esempio più unico che raro nella storia dell’urbanizzazione mondiale. 

Il Three-plus-one trading-mix è stato il modello economico inizialmente applicato a Shenzhen.  Si è sfruttata l’ottima vicinanza geografica con Hong Kong per modificare la destinazione d’uso del terreno. Dove prima c’era la campagna è stata costruita un’enorme quantità di fabbriche, che hanno utilizzato manodopera contadina a basso costo. Shenzhen è divenuta così il bacino di lavorazione per prodotti su misura destinati a Hong Kong e all’estero. 

Questo modello si è esteso a tutto il delta del Fiume delle Perle ed è utilizzato ancora oggi in alcune città della Cina continentale. Nel secondo decennio, si è avuto un temporaneo arresto all’indomani dell”89; poi, dal 1992, si è ripartiti da Shenzhen per procedere con lo sviluppo delle città costiere e della maggioranza dei capoluoghi delle provincie cinesi. 

In quel momento la Cina si era già totalmente trasformata in una società consumista, il business e il settore dei servizi erano divenuti sempre più popolari. L’immobiliare ha così giocato un ruolo fondamentale: i profitti ricavati della terra sono diventati la risorsa finanziaria di tutti i governi locali. Gran parte della terra per utilizzo agricolo è stata acquisita dal commercio in continuo sviluppo e l’espansione urbana è giunta a livelli impensabili. 

Nel 2002 Richard Florida ha pubblicato negli Usa “L’ascesa della classe creativa”, una buona sintesi della nascita dell’industria culturale in Europa e negli Stati Uniti, e per questo ha ricevuto attenzione da parte di molti governi. Anche la Cina ha iniziato a perseguire la creazione di un’industria culturale. In linea con il trend internazionale e poi in base ai bisogni “dell’ascesa nazionale” sono state promosse le politiche sullo “sviluppo del soft power”. Molte città si sono allineate alla tendenza dell’industria culturale e così si è aperto il terzo decennio di urbanizzazione cinese.

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Il 27 gennaio del 2005 il Consiglio di Stato ha ufficialmente autorizzato il “Piano regolatore della città di Pechino 2004 – 2020”, presentato dalla municipalità stessa. La pianificazione a breve termine si riferiva alle Olimpiadi del 2008; quella a lungo termine, invece, a tutto il periodo post olimpico, fino al 2020.

È stata presentata un’organizzazione spaziale dell’intera città chiamata “due assi – due bretelle – tanti centri”. La denominazione due assi include la via Chang’an che taglia la città da est ad ovest e il tradizionale asse centrale sud-nord di sette chilometri e ottocento metri (dalla Porta di Yongding fino alla Torre della Campana e del Tamburo), con una parte nuova che si estende ulteriormente per venticinque chilometri verso nord; le due bretelle indicano la bretella di sviluppo della zona est e quella della zona ovest; tanti centri si riferisce alla realizzazione di più centri servizi in tutta la municipalità di Pechino. 

Un centro servizi è il villaggio olimpico. È stato costruito a nord del tradizionale asse centrale sud-nord e comprende tutte le sedi e le strutture per le gare olimpiche: lo Stadio Nazionale (il Nido di rondine), la Piscina Nazionale (il Water Cube), lo Stadio Olimpico, il Centro Nazionale Congressi, e tutto il villaggio olimpico. Queste sedi sono state utilizzate fin dal 2002 per le competizioni sportive internazionali. Erano stati invitati famosi studi di architettura per concorrere al progetto di design.  

La sede principale delle Olimpiadi, utilizzata anche per la cerimonia di apertura, è stato lo Stadio Nazionale il cui progetto è stato alla fine realizzato dallo studio svizzero Herzog & de Meuron. Il Nido di rondine ha espresso correttamente la tensione dello Stato verso una “società armoniosa” cinese e ha espresso un brillante senso del bello, in una ricca commistione di contemporaneità e caratteristiche cinesi. 

Le Olimpiadi sono state considerate una rara occasione per dimostrare il potere della Cina. Per questo motivo, numerosi edifici pubblici, dal forte impatto simbolico, dovevano essere terminati prima del grande evento. Gli edifici olimpici avevano assunto un’importanza fondamentale. Un atto significativo in fase di preparazione è stato anche il summit di Pechino per la cooperazione tra Cina e Africa, che si è tenuto il 4 e 5 novembre del 2006. 

La Cina ha sempre ritenuto che gli investimenti in Africa fossero una fondamentale strategia diplomatica ed economica. Ha sfruttato relazioni costruite in passato per sostenere i Paesi africani ed è ampiamente intervenuta per costruirvi infrastrutture. Perfino l’esperienza di Shenzhen ha fatto da guida per penetrare nel continente africano: anche lì sono state costituite molte Zone Economiche Speciali. L’economia locale è stata attivata mediante lo scambio di ogni tipo di risorsa. Dopo di che, da un punto di vista diplomatico, è chiaro che ogni Paese che stringe alleanze con i Paesi africani entra automaticamente in competizione con gli Stati Uniti. 

In realtà, i capitali vaganti e le duttili manovre del governo cinese hanno costituito un elemento di pressione sulla Banca mondiale e sul Fondo monetario internazionale riguardo gli investimenti in Africa. La Cina ha fatto il suo gran proclama “antiglobalizzazione” nel forum di cooperazione tra Cina e Africa, organizzato prima delle Olimpiadi.

Contemporaneamente, nella Pechino preolimpica, si sono cominciate a mettere in pratica le soluzioni al problema del traffico che da tempo affligge gli umani. Durante il forum, Pechino ha limitato a quasi il cinquanta per cento le macchine governative. Anche le macchine private e quelle con la targa di fuori Pechino avevano delle limitazioni a circolare, mentre c’è stata una politica di incoraggiamento per i mezzi pubblici. I risultati sono stati notevoli. Perfino i tassisti di Pechino, scherzando, dicevano di sperare che gli amici africani se ne andassero il più tardi possibile, così almeno le strade avrebbero continuato a essere libere.  

Nel 2008, durante le Olimpiadi, Pechino ha fatto un altro passo avanti sul problema del traffico, le macchine private hanno cominciato a circolare a targhe alterne. Il problema è stato risolto temporaneamente ma senza arrivare al nocciolo. 

Costruire delle superstrade, dare una denominazione diversa ad ognuna di esse, allargare gli anelli di Pechino come un pizza sempre più grande, sono tutti provvedimenti che non riescono a rimpiazzare il graduale aumento delle macchine private, ma al contrario portano il traffico della città a un punto morto. 

Invece, per l’expo a Shanghai, con la fitta concentrazione della rete stradale, i molti sensi unici e le corsie costruite per bene, si è evitato di cadere in imbarazzanti situazioni di ingorgo da traffico. 

Se affermiamo che Pechino ha organizzato le Olimpiadi per un bisogno di considerazione da parte degli Stati e della politica, l’expo di Shanghai si è invece focalizzato sulla popolazione. Il suo slogan dal tono affermativo: “la città, rende la vita più bella” , ha trasformato l’urbanizzazione in una meravigliosa visione del futuro. Ma soprattutto l’ha resa il fulcro della nostra esistenza. 

Il concetto di città è stato protagonista dell’expo di Shanghai 2010 e riflette una visione in prospettiva storica dell’expo rispetto alla società umana, dall’industrializzazione all’urbanizzazione. Per gli spazi espositivi, sono stati ancora utilizzati i metodi di organizzazione e divisione del concetto di Stato-nazione tradizionale. I padiglioni si sono connotati come unità espositive dove erano raccolti i migliori risultati tecnologici e le più moderne riflessioni sull’urbanizzazione. In totale, i visitatori dell’expo di Shanghai hanno superato i sette milioni, una cifra che ha spezzato ogni record storico. Ci sono stati così tanti visitatori perché la vita della gente e il contenuto della mostra erano strettamente collegati, ma anche per il calore incredibile che ha dimostrato la popolazione cinese nei confronti del nuovo mondo che gli si è palesato davanti. 

Sebbene l’expo di Shanghai sia stato la dimostrazione delle abbondanti risorse finanziarie della città e la conferma di un grande successo per le strutture architettoniche, i numerosi visitatori arrivavano caoticamente. La popolazione cinese, durante le visite, non ha mostrato né rispetto per la cosa pubblica né buone maniere. Al contrario, ha avuto un approccio discutibile.  

L’expo ha quindi manifestato il livello di educazione dei cittadini cinesi, del governo e dell’amministrazione della città, che non può essere paragonato a quello che emerge nei grandi eventi di livello internazionale. 

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Nelle Olimpiadi asiatiche organizzate a Guangzhou, quell’utilizzo dell’inglese così propagandistico e pieno di errori e omissioni, sia a livello ufficiale che no, faceva ridere e piangere allo stesso tempo. 

I grandi eventi possono aggiungere gloria e lustro al marchio di una città, ma se si svolgono in modo inappropriato hanno un’influenza negativa che non può essere sottovalutata. 

Alle fine delle Olimpiadi asiatiche a Guangzhou, si è sparsa la voce che la città si sarebbe candidata per l’expo. La perplessità diffusa era impossibile da arginare: abbiamo sopravvalutato Guangzhou?  

Il teatro dell’opera di Guangzhou, costruito da Zaha Hadid, può diventare un edificio trascurato di cui non si riconosce neanche il significato originario? Non dovremmo riflettere seriamente sull’amministrazione e sulla funzione di questi edifici? 

Le Olimpiadi, l’expo e le Olimpiadi asiatiche, rispettivamente a Pechino, Shanghai e Guangzhou, hanno fatto costruire numerosi edifici pubblici dal grande impatto simbolico, firmati da famosi designer e architetti internazionali. A festa finita, questi edifici come possono essere inseriti nella vita quotidiana della città? Come possono essere messi in relazione con i cittadini? Dobbiamo riflettere su come utilizzarli e gestirli a lungo termine. 

La Cina vuole costruire mille musei, ma mancano le risorse umane per l’organizzazione e la gestione del loro programma espositivo. L’Accademia delle belle arti, firmata da Frank Gehry, ha contribuito con successo al rinnovamento della città di Bilbao. Tutte le città hanno così cominciato ad avere fiducia cieca nei grandi nomi dell’architettura, anche grazie al miracolo economico scaturito dal turismo. 

Secondo un articolo del Times del 2007, i cittadini di Bilbao visitano raramente l’Accademia delle belle arti. Ritengono sia una galleria privata trapiantata dagli Stati Uniti o un edificio costruito esclusivamente per il turismo che non ha nulla a che vedere con la loro vita quotidiana. 

Il calore dimostrato per la squadra del Bilbao, nel campionato di calcio spagnolo, è mille volte superiore a quello per l’edificio di Frank Gehry. L’Accademia ha probabilmente attirato gli sguardi di tutto il mondo ma non ha saputo creare un rapporto con la cultura locale. 

La reazione dei cittadini di Bilbao è una controprova potente alla famosa teoria della classe creativa di Richard Florida. La trasformazione urbana non può dipendere esclusivamente dall’industria creativa, la cosa fondamentale è partire dalla realtà e dalle risorse locali, altrimenti è impossibile stimolare la partecipazione dei cittadini. In Cina, sarebbe assurdo duplicare il distretto artistico 798 di Pechino nella parte ovest di Shenyang, perché Shenyang non possiede strutture artistiche di riferimento né artisti; invece costruire il Museo della scrittura cinese ad Anyang nell’Henan è ragionevole, in quanto Anyang è il luogo dove è sorta la scrittura arcaica cinese (le iscrizioni sulle ossa oracolari).

Traduzione di Désirée Marianini
Foto: Gabriele Battaglia