Un’altra campagna – Diario del Festival che non c’è stato

In by Simone

Il Bishan Harvestival 2012 doveva riflettere sul problema della diseguaglianza nella Cina contemporanea. Doveva essere un viaggio attraverso la Comune di Bishan, un esperimento in cui i suoi artefici, la gente che vi partecipa, si apriva al mondo. Ma è stata cancellato dalle autorità.
Questa è la storia di un festival che non c’è mai stato. La notizia ci è arrivata a Pingshan, dove avevamo appena finito di sistemare al nostra videoinstallazione: “Hanno cancellato tutto, ce l’hanno detto venti minuti fa”. Siamo rientrati nella splendida casa in stile hui e abbiamo smontato tutto. Poi, su un bum bum che (un trabiccolo a tre ruote con cassone) carico della nostra e altrui roba siamo tornati al campo base, la casa di Ou Ning, amareggiatissimo ideatore e organizzatore della defunta manifestazione, una doppia kermesse (festival di fotografia di Yixian e “Harvestival”, festa del raccolto) nelle campagne dell’Anhui.

Le autorità locali avevano creato problemi fin da ieri. “Vogliono due bei paesaggi. Odio queste cose, ma bisogna accontentarli, se no possono far saltare tutto”, ci aveva detto Ou. Il “grande diciottesimo”, il congresso che rinnoverà la leadership del Paese, è ben presente anche qui e il Partito locale voleva apporre le proprie modifiche al festival di fotografia che stava per iniziare. Ou aveva passato l’intera giornata in riunione con i funzionari per trovare una soluzione. “Fino alla settimana scorsa il catalogo del festival di fotografia andava benissimo, adesso vogliono cambiare qualcuno dei testi scritti dagli stessi artisti, mentre la pubblicazione è già in stampa. E poi vogliono le foto dei bei paesaggi”.

Il problema, o il pretesto, era stato creato da un disgraziato operatore della televisione dell’Anhui che la sera prima si era ubriacato così tanto da morire soffocato nel proprio vomito proprio a Yixian. Non lavorava al festival, non c’entrava niente, ma la vicenda di questo sfortunato epigono di Jimi Hendrix ha fatto una cattiva pubblicità alla comunità. Così sono arrivati quelli del Partito: “Voi fate un festival di fotografia, mostrate che bei paesaggi abbiamo da queste parti”. Sullo sfondo il congresso di Pechino, presenza incombente che in ogni angolo di Cina fa sì che non debba volare una mosca e che nessuno voglia perdere la faccia.

Viene da ridere amaramente, se si pensa che il photofestival di quest’anno si sarebbe intitolato Interactions. L’interazione tra le cartoline da quattro soldi volute all’ultimo secondo dalle autorità, e la programmazione culturale pensata, elaborata, programmata per mesi da un nucleo di intelligenze creative, non ha evidentemente funzionato. Oggi, nonostante la sostituzione delle foto, hanno sbandierato una normativa che arriva da Pechino ma che, come tutte le leggi cinesi, lascia ampi margini all’interpretazione dei funzionari locali: nessuna manifestazione pubblica con più di cinquanta partecipanti è consentita durante il periodo del congresso, su tutto il territorio nazionale.

L’altro giorno, mentre in volo verso l’Anhui leggevo su Global Times che a Pechino hanno imposto la registrazione di chi compra giocattoli telecomandati, e che un’ordinanza ha stabilito che tutti i piccioni devono restare chiusi nelle voliere durante il congresso, avevo sorriso.
Oggi comprendo come un rituale politico si propaghi come un’onda o una scossa sismica a ogni livello della società e in ogni luogo di questo immenso Paese. Determinando comportamenti assurdi dettati dall’istinto di autoconservazione dei capetti locali.

È quasi come l’effetto caos, la famosa farfalla che sbatte le ali in Messico e provoca un maremoto in Giappone. Oppure la ghianda dell’Era glaciale, con tutti i disastri che combina. A Pechino qualcuno sbatte le ali, forse non lo fa neppure, ma tutti gli altri credono di vederlo e agiscono per prevenire un possibile tsunami sulla propria testa. Ci fa le spese chi può portare nuova linfa a una società che sconta ancora problemi di innovazione creativa, quindi l’effetto può essere deleterio per tutta la Cina. Ai funzionari locali non glie ne frega niente: loro hanno ottenuto la pacificazione che volevano. “Proprio ora un evento che fa pensare, che provoca, ma perché deve capitare proprio a me?” Meglio non fare niente del tutto, cancellare l’intero festival.

Ci sono vie già accettate, consolidate, per promuovere il benessere locale. Il modello di sviluppo univoco si vede ovunque qui attorno: turismo da cartolina e speculazione immobiliare. Del resto funziona. Nel weekend non ci si riesce a muovere da quanti turisti ci sono in giro. E se domani e anche dopodomani qualche articolo perplesso del Quotidiano del Popolo si chiederà perché la Cina non riesce a essere creativa io, mandarino di paese, sarò già altrove dopo avere arricchito la mia famiglia.

[Le foto sono di Claudia Pozzoli. Gabriele Battaglia e Claudia Pozzoli erano stati invitati a partecipare al festival per presentare Inside Beijing, un webdocumentario sulle implicazioni sociali dei cambiamenti urbanistici e architettonici della città di Pechino]