Una coppia nell’incubo della repressione cinese

In Cina, Cultura by Simone Pieranni

Paragonata alla Cina di oggi, quella dei primi anni Duemila sembra un paese completamente diverso, dove ancora era possibile una opposizione al governo del Pcc, dove ancora un manipolo di persone – i «dissidenti» nel linguaggio semplificatorio occidentale – costituiva un pungolo costante alle attività del partito comunista. Un paese nel quale la repressione veniva denunciata: cambiava poco, le vite degli oppositori venivano sgretolate da iper controllo e carcere, quando non da torture e pestaggi, ma rimaneva l’esempio.

Gabriele Barbati, corrispondente in Cina per Sky durante quegli anni, sceglie la vita di Zeng Jinyan, compagna e poi moglie di Hu Jia, uno dei dissidenti più noti di quel periodo, per raccontare la parabola di un paese che da lì a poco, con le Olimpiadi del 2008, avrebbe imposto la propria narrazione al resto del mondo. In Ho immensamente voluto (Funambolo edizioni, pp. 387, euro 15) Barbati opta per la strada più complicata e lirica: romanza le vicende parlando attraverso i pensieri di Zeng Jinyan e immergendo il lettore nelle sofferenze e aspirazioni quotidiane di una coppia di persone scagliate nell’incubo della repressione cinese.

LE ATTIVITÀ di Zeng e Hu si intrecciano con lo scandalo delle trasfusioni che causarono milioni di infezioni da Hiv, seppellite sotto la coltre dell’omertà e del silenzio dal partito comunista e dall’allora segretario del partito della regione da cui partì tutto, oggi premier della nuova Cina di Xi Jinping. Hu Jia, già in vista per le sue mobilitazioni sui temi ambientali, comincia a sentire stretta la sua opposizione fatta di tanti tasselli da mettere insieme e comincia a proporre la parola proibita «democrazia».

Da lì comincia un incubo nel quale sono catapultati lui, la moglie, la loro figlia nata poco prima della condanna a tre anni di carcere per il padre e quella di tanti altri attivisti che, in occasione delle Olimpiadi del 2008, avevano denunciato gli orrori di quella Cina che da lì a poco sarebbe diventata «potenza mondiale».

Barbati lo fa con garbo e grande rispetto dei suoi protagonisti, con un linguaggio semplice e non privo di accenni poetici quando Zeng si ritrova a dover scegliere tra una vita semi normale e una corsa verso l’autodistruzione; scelta che appare invece totalmente accettata dal marito, da cui finirà per dividersi, andando a Hong Kong.

DAL LIBRO EMERGE una tensione latente di un paese che non accetta dissonanze e che utilizza apparati di intelligence e militari per scrutare nella vita di tutti i giorni dei suoi cittadini (Zeng racconterà insieme a Hu Jia la loro vita sorvegliata) C’è il prodromo di quel sistema che oggi rende Hu Jia, Chen Guangcheng, Liu Xiaobo e tanti altri, dei fantasmi, di cui pare ricordarsi le gesta come fossero di un’epoca incapace di tornare.

Per chi ha vissuto quegli anni in Cina – una Cina in grande cambiamento e capace di regalare anche momenti di incredibile opposizione, grazie anche alle abilità degli attivisti di denunciare scandali e repressione su internet, mentre il Pcc affinava le sue tecniche di censura – le vicende dei due protagonisti hanno un sapore amaro, a indicare uno scarto che non è avvenuto e che, anzi, ha portato il paese a essere ancora più impermeabile alle critiche interne.

E non solo, perché lo scandalo dell’Henan, gli infetti da Hiv, riporta a tanti altri scandali messi a tacere e indica una tara nel sistema cinese che si è potuta riscontrare anche nel ritardo con il quale la Cina ha preso decisioni sul coronavirus. Ho immensamente voluto è il ritratto di una Cina che poteva essere, di qualcosa che sarebbe potuto esistere e non è stato.

[Pubblicato su il manifesto]