Dal primo luglio tutti i computer acquistati in Cina dovranno essere venduti assieme a un programma di censura chiamato Green Dam. Questo software è stato studiato per monitorare i siti web visitati dagli utenti e bloccare quelli con contenuti per adulti o materiale politicamente sensibile. Nonostante diversi ricercatori nell’ambito della sicurezza informatica segnalano una serie di gravi vulnerabilità, probabilmente dovute ad errori di programmazione, il Governo ha dichiarato di non voler ritirare la sua decisione. Citiamo ad esempio le conclusioni del dettagliato rapporto di Wolchok, Yao e Halderman dell’Università del Michigan. “Una volta installata la Green Dam, ogni sito web visitato dall’utente può usare le sue vulnerabilità per prendere il controllo del computer. Questo può permettere a siti pericolosi di rubare dati privati, inviare spam o collegare il pc a una botnet. Inoltre nel processo di aggiornamento dei siti inseriti nella lista nera, abbiamo trovato delle disfunzioni tali da permettere ai costruttori del software o ad altri di installare codici maligni durante il processo di aggiornamento. Abbiamo trovato questi errori in dodici ore e crediamo che siano solo la punta dell’iceberg. Correggere questi problemi significa cambiare grandi parti del software e testarlo nuovamente e attentamente. Nel frattempo raccomandiamo agli utenti di proteggere il loro computer disinstallando immediatamente la Green Dam”.
Così parlano i tecnici e l’indice di gradimento della Green Dam non sembra migliorare né dal punto di vista legale né dal punto di vista dell’opinione pubblica. Hu Shulin, il rispettato direttore di Caijing, il principale settimanale di informazione economica e finanziaria cinese, ha pubblicato un editoriale che condanna duramente la decisione governativa. L’installazione di questo software, si legge, "è un atto amministrativo che non ha appoggi né su un piano morale, né su un piano legale. Anzi, da un punto di vista legale è evidente un conflitto tra potere pubblico e diritti sociali". I cittadini, infatti, hanno il bisogno e il diritto di informarsi e possono filtrare le informazioni secondo il proprio personale giudizio. Per questo "chi compra un pc dovrebbe ricevere gratuitamente il software per poi decidere autonomamente se installarlo o no”.
C’è poi chi preferisce i fatti alle parole. Ai Weiwei lancia uno sciopero della rete proprio il primo luglio. Ai è figlio di un poeta dissidente che ha passato buona parte della rivoluzione culturale nei campi di rieducazione dello Xinjiang, ha studiato cinema insieme a Chen Kaige e Zhang Yimou, ha vissuto a New York dove ha studiato design e poi è tornato a Pechino, la sua città natale. Provocatore nato, Ai è quello che aveva collaborato ai progetti dello stadio simbolo delle Olimpiadi 2008, il Nido d’uccello, per poi partecipare al movimento anti-olimpico e non presenziare alla cerimonia di inaugurazione. In questi giorni dalle pagine del suo blog, chiede ai 300 milioni di internauti cinesi un “tranquillo atto di rivolta”: astenersi dall’utilizzare la rete per 24 ore, ovvero non lavorare, non giocare, non controllare le email, insomma boicottare completamente linternet. Alcuni notano una curiosa coincidenza: il primo luglio, infatti, è anche il giorno dell’88 anniversario della nascita del partito comunista cinese. Ma Ai spiega: “Non voglio dare nessuna spiegazione del perché lo faccio. Io costruisco una struttura che ognuno può riempire del significato che ritiene più opportuno. Voglio solo che la gente si renda conto del grande potere che ha”.
Ai Weiwei crede veramente nel potere di internet. Ha scritto tremila post in tre anni. Il suo blog risorge dalle proprie ceneri come un’araba fenice; per due volte la sua piattaforma è stata chiusa per aver approfondito in maniera poco ortodossa temi sensibili. Dall’ultima volta è passato meno di un mese. Ai, poco prima dell’anniversario di piazza Tiananmen, annunciava una campagna online per arrivare a stilare una lista degli studenti morti durante il terremoto del 2008 nel Sichuan. Il blog fu chiuso immediatamente ma i suoi numerosi seguaci (solo su Twitter sono 3390) hanno continuato a seguirlo.
La sua “chiamata alle armi” ha scatenato una moltitudine di commenti, alcuni entusiasti, altri scettici. Sarebbe bello, commentano in molti, ma la Cina è grande ed è piena di persone che non si interessano veramente ai problemi del paese. Ai Weiwei risponde convinto con un nuovo post. “Non importa quante persone parteciperanno, un semplice atto di sfida conta più di tutti gli argomenti discussi online” e ancora “i cinesi sono pratici e intelligenti, si chiedono se può servire uno sciopero della rete e cosa può cambiare” ma “l’agire vale di più del parlare, un piccolo gesto vale un milione di pensieri”. “Non preoccupiamoci dell’analisi e del successo dell’iniziativa, il primo luglio scioperiamo, solo allora capiremo cosa fare”.
*http://aqjingshen.blogspot.com/
[Pubblicato su L’Altro, il 28.06.2009]