Belt and Road Initiative (Bri) e Global security initiative (Gsi) fanno decollare la Cina nell’Olimpo delle grandi potenze. Quali prospettive per le ambizioni multilaterali del presidente Xi? Un estratto dal nostro ultimo ebook “Asia-Pacifico” dedicato ai movimenti militari e commerciali in atto nella regione. Clicca qui per richiederlo
Da nazione pressoché isolata dalle dinamiche globali a campione della globalizzazione il passo è breve. Almeno per la Cina di Xi Jinping. Nel 2017 il suo discorso per il World Economic Forum di Davos era ricco di espressioni che segnalavano un ulteriore passo avanti per la politica estera della Repubblica popolare: “cooperazione win-win”, “comunità umana dal destino condiviso” e “condivisione dei benefici della globalizzazione”. Solo quattro anni prima, nel 2013, il presidente cinese aveva lanciato l’iniziativa che avrebbe segnato la storia delle relazioni internazionali: la Belt and road Initiative, la nuova Via della Seta che oggi conta 146 paesi associati, che racchiudono il 64% della popolazione globale e il 30% del Pil mondiale. Negli ultimi anni Pechino vi ha investito intorno agli 85 miliardi l’anno.
Che Pechino sia pronta a indossare il cappello di grande potenza è qualcosa che si capisce osservando le strategie elaborate dal Partito comunista cinese (Pcc) negli ultimi decenni. Negli anni Novanta la Cina si impegnava a portare a nuovi livelli la strategia del “going out” (出去战略 chūqù zhànlüè), un processo che da semplice apertura agli investimenti e ai traffici internazionali sta assumendo tutte le sfumature della leadership globale. La Belt and Road Initiative (Bri) racchiude tante anime diverse, sintomo del pragmatismo cinese e delle circostanze: investimenti infrastrutturali per collegare la Cina al mondo (e diversi paesi tra loro), piattaforma per espandere il mercato dei prodotti cinesi, spugna capace di assorbire l’eccesso di capitale e le risorse che non trainano più la crescita in casa. Ma anche sostegno allo sviluppo, progetti per la formazione scolastica e professionale, ed energia. Si è parlato di “Via della Seta sanitaria” durante la pandemia per portare personale e dispositivi sanitari dove era necessario. Oggi si parla di “Via della Seta digitale” per intendere un ampio ventaglio di iniziative che vanno dall’esportazione delle piattaforme e-commerce cinesi ai pagamenti digitali transfrontalieri. All’elenco non mancano, inoltre, i temi della sostenibilità ambientale e della finanza.
La Bri è – ed è stato – il territorio di prova più probante per la diplomazia cinese, che in questa sede ha esteso a quasi tutto il globo il suo ruolo di coordinatore e benefattore. Per sostenere i progetti, la Cina ha creato la Asian infrastructure investment bank (Aiib) e ha avviato una serie di piattaforme di dialogo su base geografica o di interessi condivisi. Un esercizio di cooperazione multilaterale che, nonostante le premesse, mette Pechino al centro di questo nuovo ecosistema diplomatico. Xi Jinping enfatizza l’impegno di Pechino nei meccanismi di dialogo multilaterale (Onu, Oms, Omc…) contro l’unilateralismo statunitense, ma sta cercando una via sicura. Se l’insieme delle organizzazioni internazionali del Dopoguerra ha creato un mondo a misura di Washington, ecco che serve preparare un mondo a misura di Pechino. La “ricetta” occidentale per uscire dal sottosviluppo attraverso liberalizzazioni e politiche fiscali più disciplinate, il cosiddetto Washington Consensus, non sembra ottenere i risultati sperati. Ecco, quindi, che alcuni analisti parlano di Beijing Consensus come alternativa per il Sud globale, una strategia che proprio nelle iniziative della Bri trova il suo motore principale. Investire per crescere, costruire strade e ferrovie dove serve portare lavoro e commercio. Una strategia che serve anche ad aiutare l’Ovest povero della Repubblica popolare.
Rimane ancora da capire quanto (e se) la pandemia ha contribuito a cambiare questa visione. Consapevole delle sfide economiche, politiche e securitarie della Bri, la Cina sta cercando di concentrare meglio i suoi sforzi. Un tentativo di equilibrismo che implica una gestione più oculata delle risorse economiche, della performance delle imprese statali (oltre il 70% delle compagnie coinvolte) e della reputazione di Pechino nel mondo. Tra i problemi dei progetti Bri, secondo i detrattori, la “trappola del debito” dei paesi che accettano progetti che non possono permettersi. Credito che secondo uno studio della statunitense AidData ammonta ad almeno 385 miliardi di dollari. Ecco perché Pechino starebbe cancellando i progetti più rischiosi e cancellando una parte del debito contratto dai suoi partner.
Che questa fase di aggiustamenti sia sintomo del cosiddetto overstretch imperiale lo vedremo nei prossimi anni. Teoria proposta da Paul Kennedy nel 1987 in merito alla competizione tra potenze nella storia, L’overstretch imperiale indica una fase di espansione oltre le proprie capacità militari ed economiche effettive e, oggi, sarebbe la Cina a dover fare i conti con le sue ambizioni e la realtà dei fatti. Le narrazioni sull’espansione del dialogo in materia di sicurezza all’estero sembrano sostenere questa idea di ascesa nell’Olimpo delle grandi potenze. E la Cina non potrebbe farlo senza mettere mano alla complessa rete di relazioni di vicinato in materia di sicurezza (almeno per ora regionale). È questo che molti hanno pensato quando, il 21 aprile 2022 al Boao Forum for Asia, Xi Jinping ha lanciato la Global security initiative (Gsi). Una proposta che, già nel nome, ha ambizioni che oltrepassano l’orizzonte asiatico. PER CONTINUARE A LEGGERE SCOPRI COME OTTENERE L’EBOOK
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.