Sotto i riflettori per la catena di suicidi tra i dipendenti, Foxconn sembra aver trovato la soluzione definitiva: centuplicare il numero di droni per il lavoro automatizzato.
Accusata di trattare gli operai come se fossero macchine, la Hon Hai Precision, meglio conosciuta con il nome della sua controllata cinese Foxconn, ha scelto la strada dell’automatizzazione: i robot sostituiranno i lavoratori. Secondo quanto riferito dai media cinesi, il gigante taiwanese dell’elettronica -fornitore tra gli altri di Apple, Nintendo, Sony, Nokia, Dell- impiegherà nella propria catena di montaggio un milione di automi entro il 2013 -oggi sono circa 10mila- adibiti a operazioni quali la saldatura, la verniciatura e l’assemblaggio. Il piano di razionalizzazione, annunciato dal fondatore e presidente Terry Gou, è secondo gli analisti la risposta all’aumento del costo del lavoro in Cina.
Una scelta che ha riportato il gruppo all’attenzione internazionale un anno dopo la ribalta per l’ondata di suicidi tra gli impiegati e gli operai che puntò il dito sulle condizioni di lavoro all’interno dei tredici stabilimenti nella Cina continentale, dove sono impiegati oltre un milione di dipendenti su un totale di 1,2 milioni del gruppo. Turni che superano le 11 ore, straordinari obbligatori, un lavoro regolato secondo una disciplina militare. I morti furono 14 soltanto lo scorso anno, senza contare gli innumerevoli tentativi di togliersi la vita, gettandosi dai tetti e dalle finestre dei dormitori, tanto da rendere necessaria l’installazione di reti protettive sugli edifici. Ritmi cui difficilmente potevano reggere gli operai, in maggioranza giovani immigrati dalle campagne che si trovavano catapultati nelle grandi metropoli costiere e nei distretti industriali. Già nel 2006, un’inchiesta del britannico Mail on Sunday, accusava la Foxconn di costringere i proprio operai a turni massacranti per raggiungere quote di produzione definite “irrealistiche”. D’altronde gli stessi dipendenti nelle interviste si vantano di poter soddisfare le richieste dei clienti in massimo 48 ore.
L’ultima morte risale invece a metà luglio, a cadere dal sesto piano di uno degli edifici del complesso-dormitorio di Longhua, a Shenzhen, è stato un ventunenne assunto appena da un mese. Un incidente subito imputato all’alcool che il giovane avrebbe bevuto durante una festa di compleanno. A maggio un altro operaio era invece precipitato a Chengdu, nel Sichuan, la stessa città sede di un’esplosione in uno degli stabilimenti dell’azienda che fece tre morti e 15 feriti, causata da una polvere infiammabile all’interno di un condotto. Nell’impianto era stata trasferita la produzione della seconda generazione di iPad, con un danno per la Apple stimato in almeno 500mila unità in meno immesse sul mercato.
Da almeno un anno il mondo industriale cinese è in fibrillazione e gli scioperi spontanei sono in aumento, alla Foxconn così come in altri gruppi stranieri: sempre la scorsa estate una serie di manifestazioni paralizzò la produzione negli stabilimenti cinesi dei giganti automobilistici giapponesi Honda e Toyota. L’azienda taiwanese rispose al malcontento con un aumento del salario medio del 30-40 per cento, passando a Longhua da 900 a 2.000 yuan (200 euro circa). E secondo quanto riferito dal Financial Times, entro due anni ci dovrebbero essere ulteriori incrementi del 20-30 per cento. Molti stabilimenti sono invece stati ricollocati nelle aree interne della Cina, lasciando a Shenzhen il ruolo di centro di ricerca e sviluppo. Ufficialmente per avvicinare i dipendenti ai propri luoghi di origine, ma, nota il China Labour Bulletin, il progetto è in linea con il programma del governo provinciale del Guangdong di trasformare la provincia in un polo di servizi e alta tecnologia.
Lo scorso anno l’azienda ha subito perdite per 218 milioni di dollari, contro i 37 milioni di profitto del 2009, sebbene le perdite siano state dimezzate nei primi sei mesi dell’anno. L’azienda punta tuttavia all’estero. Ha concluso un accordo da 12 miliardi di dollari con il governo brasiliano e intende comprare un impianto della Cisco System in Messico, dove già nel 2009 acquistò uno stabilimento per la produzione di monitor LCD dalla Sony, seguito da uno in Slovacchia l’anno successivo. Oltre ad aver avviato contatti con numerosi marchi nipponici quali Canon, Hitachi e Sharp.
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