Un libro al giorno… Mezzanotte a Pechino

In by Simone

Mezzanotte a Pechino (19,50 €; ebook 9,99 ) è la ricostruzione storica delle indagini per l’omicidio di Pamela, la giovane figlia di un diplomatico britannico. Il risultato è un giallo ambientato nella Pechino del 1937 in una Cina sospesa tra l’impero e la rivoluzione. China Files ve ne regala un estratto (per gentile concessione della casa editrice Einaudi).
La zona orientale della vecchia Pechino appare fin dal XV secolo dominata da un’imponente torre di guardia, parte del complesso di mura tartare che difendevano la città dalle invasioni. Nota come Torre delle Volpi, si diceva che fosse infestata dagli spiriti e a causa di quella superstizione di notte era deserta. Dopo il tramonto si trasformava nel regno delle migliaia di pipistrelli che popolavano le sue grondaie e che nel chiarore lunare sfrecciavano come ombre giganti. Gli unici altri esseri viventi erano i cani randagi, che con i loro ululati tenevano svegli gli abitanti della zona.

Nelle mattine d’inverno il vento mordeva gli occhi e le mani, portando con sé la sabbia del deserto del Gobi, e in quel periodo dell’anno solo pochi osavano avventurarsi all’aperto di buon’ora. Ma l’8 gennaio 1937, poco prima dell’alba, i coolie che transitavano sulle ampie mura riservate a pedoni e biciclette notarono ai piedi della Torre delle Volpi un baluginio di lanterne e alcune figure che si muovevano. Restii a fermarsi e spinti dalla fretta, tirarono dritto a testa bassa, un piede avanti all’altro, ansiosi di evitare gli spiriti volpe.

Alle prime luci di quell’ennesima giornata di gelo la torre era nuovamente deserta e i pipistrelli compivano i loro ultimi voli prima che il sole li risospingesse verso le grondaie. Ma nella distesa incolta fra la strada e la torre gli huang gou – i cani randagi, o cani gialli – si aggiravano nervosi, fiutando qualcosa lungo un fossato. Era il corpo di una giovane donna, sdraiato in posizione innaturale e coperto da uno strato di brina. Gli abiti erano in disordine, il cadavere orrendamente sfregiato. Al polso portava un orologio costoso che aveva smesso di funzionare poco dopo la mezzanotte.

Era il mattino dopo il Natale russo, che secondo l’antico calendario giuliano cadeva tredici giorni piú tardi di quello occidentale. All’epoca Pechino contava circa un milione e mezzo di abitanti, di cui solo due o tremila stranieri e appartenenti a un gruppo composito che spaziava dai consoli impettiti con relativo staff diplomatico ai russi bianchi indigenti. Questi ultimi, espatriati per sfuggire ai bolscevichi e alla rivoluzione, erano ufficialmente apolidi.

Fra i due estremi figuravano giornalisti, uomini d’affari e i cosiddetti old China hand, lavoratori e intellettuali residenti a Pechino dai tempi della dinastia Qing e nient’affatto desiderosi di andarsene. C’erano poi i giramondo capitati lí nel corso dei loro grand tour dell’Oriente e che dai quindici giorni previsti all’inizio si erano fermati a Pechino per anni, cosí come gli europei e gli americani fuggiti dalla Grande Depressione e in cerca di fortuna e avventura. Non mancavano infine i criminali, i tossicodipendenti e le prostitute, stranieri approdati in Cina settentrionale per i piú svariati motivi.

I forestieri di Pechino orbitavano intorno e in una piccola enclave nota come Quartiere delle legazioni, dove le grandi potenze europee, l’America e il Giappone avevano ambasciate e consolati – le legazioni, appunto. Situato su un’area non piú grande di un ettaro, il quartiere era protetto da enormi porte con sentinelle armate e cartelli che ordinavano ai guidatori di risciò di rallentare e sottoporsi a controllo. All’interno si apriva un’oasi di architetture, traffici e intrattenimenti in puro stile occidentale, con una profusione di club, alberghi e bar degni in tutto e per tutto di città come Londra, Parigi o Washington.

Gli abitanti cinesi e stranieri di Pechino convivevano ormai da molto tempo con il caos e l’incertezza. Nel 1911, alla caduta della dinastia Qing, la città si era infatti ritrovata alla mercé di orde di signori della guerra che imperversavano con razzie e saccheggi. Formalmente la Cina era governata dal Guomindang, il Partito nazionalista, sotto la guida di Chiang Kai-shek (Jiang Jieshi), ma il potere ufficiale si scontrava con quello dei signori e dei loro eserciti privati, che controllavano fette di territorio ampie quanto l’Europa occidentale, e a Pechino e in quasi tutta la Cina del Nord regnava l’instabilità.

Solo fra il 1916 e il 1928 si erano succeduti non meno di sette signori della guerra e ciascuno, nel conquistare la città, si era dato da fare per superare chi l’aveva preceduto con uniformi sempre piú elaborate, preziose e gallonate. Tutti si improvvisavano imperatori e fondatori di nuove dinastie, e tutti erano alla testa di nutriti eserciti privati. Uno di essi, Cao Gun, si era fatto strada a suon di mazzette, corrompendo gli ufficiali con ingenti somme in dollari d’argento rubati, giacché all’epoca nessun funzionario cinese si sarebbe fidato della cartamoneta. Un altro, Feng Guozhang, prima di dichiararsi illegalmente presidente di tutta la Cina si era esibito come violinista nei bordelli.

Nel tempo, i signori della guerra erano andati terrorizzando e dissanguando Pechino. Indubbiamente si trattava di una preda ambita. Dopo Shanghai e Tianjin, Pechino era il centro piú ricco del paese. Diversamente da queste, tuttavia, non era un porto franco, cioè uno di quei luoghi strappati nel XIX secolo alla dinastia Qing da alcune potenze europee. Là gli stranieri si governavano da soli e costruivano imperi commerciali sostenuti dalle proprie forze di polizia, dai propri eserciti e dalla propria marina; Pechino invece continuava a essere, almeno per il momento, territorio cinese.

*Paul French (1966) è un giornalista e storico inglese. Vive a Shangai. Nel 2009 ha pubblicato Carl Crow: A Tough Old China Hand e Through the Looking Glass e nel 2013, per Einaudi, Mezzanotte a Pechino ovvero Il torbido omicidio della Torre delle Volpi.