Il ritrovamento di una donna prigioniera nelle campagne di Fengxian ha riacceso il dibattito sul guaimai: il traffico a scopo matrimoniale, fenomeno al contempo antico e frutto di una modernità deviata
Cancellate la parola “madre” dalla lingua cinese!
Così si intitola la poesia che Yang Lian, poeta molto noto nel panorama letterario cinese contemporaneo, ha inciso a forma di X sul viso di una donna. Si tratta della protagonista di un caso tragico che sta infiammando la società cinese.
Tra i festeggiamenti del Capodanno cinese e le gioie e i dolori delle Olimpiadi invernali, il 29 gennaio scorso, nella campagna della provincia del Jiangsu, a Fengxian, nella contea di Xuzhou, una donna è stata ritrovata rinchiusa nel ripostiglio di una casa di campagna, poco vestita, senza denti, scalza, tenuta a terra legata con una catena di metallo al collo. Sulla sua identità è in corso un dibattito acceso, che si svolge su due piani: le autorità conducono indagini coi loro mezzi, il minjian, la società civile, dal basso, con i suoi: quelli della stampa, dei social, dei mini-video, dei commenti postati e poi cancellati, ri-postati trasformati in immagini senza testo.
NEL FRATTEMPO la donna, che ha perso la parola e il senno, è stata trasferita in un ospedale psichiatrico. Non sa dire il suo nome. Dice solo una frase: «Questo mondo non mi vuole». Viene chiamata «la madre di otto figli», oppure l’«incantenata di Fengxian». Già, perché lei ha avuto otto figli con il marito, tale signor Dong, che avrebbe sposato più di venti anni fa. Il figlio maggiore è nato nel 1998, il minore nel 2020. Il signor Dong da qualche tempo aveva acquisito una certa popolarità in rete, dove era conosciuto con il nickname «padre di otto figli». Il 7 febbraio a mezzanotte un comunicato ufficiale delle autorità locali ha reso pubblico il risultato delle indagini. Si tratterebbe di una “post 80s” (baling hou), secondo l’uso cinese di classificare le persone a seconda del decennio di nascita. Secondo questo comunicato, la donna sarebbe proveniente dallo Yunnan, una regione meridionale caratterizzata dalla compresenza di etnie di minoranza, e ampie sacche di povertà. Le viene anche attribuito un nome e una identità: Xiao Meihua. Un nome che non convince quasi nessuno: Xiao significa “piccolo” e non è un cognome, e anche Meihua suona un po’ “artefatto”. Meihua sarebbe arrivata nel Jiangsu nel 1998 a seguito di una tale signora Sang, con la promessa di una cura a una malattia che la portava a perdere i denti. Da allora di lei si sono perse le tracce. E anche della signora Sang. Il marito sostiene di averla «trovata» vagare per strada e di averla portata a casa per aiutarla.
UN SECONDO comunicato dice che si tratterebbe di Li Ying, una giovane donna la cui scomparsa venne denunciata dai genitori negli anni novanta. La madre, rimasta vedova nel 2016, ha chiesto il certificato di morte della figlia per questioni di successione. Da questa testimonianza è emersa anche una foto. Alcuni locali, inoltre, sostengono che si tratti di una giovane di un villaggio poco distante, rapita e abusata dai tre uomini della famiglia Dong: padre e due fratelli. Nella Cina che compie enormi sforzi tecnologici per il controllo delle identità dei singoli, questo caso lascia intravvedere delle falle non da poco. E le indagini sul Dna aiutano solo in parte. Tante, troppe sono le voci intorno a questa donna. Intanto i cinesi, sia in Cina, sia all’estero, si interrogano, e manifestano rabbia.
Anche se le autorità non l’hanno confermato, la maggioranza è concorde nel classificare questo come un caso di traffico di donne a scopo matrimoniale, un fenomeno che in Cina è conosciuto come guaimai, letteralmente «vendita tramite raggiro». Tali rapimenti erano molto diffusi negli anni Novanta e Duemila, ma non sono del tutto spariti anche oggi, in barba alla tecnologia e al controllo capillare. Questo caso è la conseguenza di atti criminali avvenuti molto tempo fa.
L’USANZA del guaimai è stata denunciata in un film, Blind Mountain, autoprodotto da Li Yang, un regista che negli anni 2000 ha voluto parlare del traffico di donne a scopo matrimoniale; un fenomeno che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, non era stato sufficientemente oggetto della dovuta attenzione. In quegli anni, il governo aveva incoraggiato in merito alcune ricerche sociologiche, indagini a tutti i livelli, ed erano stati prodotti film e serie televisive, per poi però riportare le proprie stesse produzioni dietro a una cortina di inspiegabile silenzio. Negli ultimi anni il guaimai è stato anche oggetto di ricerche da parte di osservatori internazionali. Save the Children ha condotto una ricerca dal 2004 al 2008 in 5 province cinesi, raccogliendo numerose testimonianze di donne comprate a scopo matrimoniale e di persone a loro intorno.
Pratiche antiche e crudeli rivolte all’oppressione del femminile sono state vietate dai diversi governi che si sono succeduti sul territorio cinese nel ventesimo secolo: la fasciatura dei piedi delle bambine era proibita nella Repubblica; il matrimonio combinato tra sconosciuti, la poligamia, l’induzione al suicidio furono vietati dapprima nei governi degli stati a ispirazione sovietica fondati dai comunisti e poi a Yan’an; in seguito, con la salita al potere del Partito Comunista Cinese, le proibizioni sono state estese a tutto il paese con la prima legislazione famigliare del 1950 della Repubblica popolare cinese. Ad eccezione della fasciatura dei piedi, molte di queste pratiche antiche tendono a fare capolino e riprendere vita, spuntando tra i fiori della rinascita della cultura tradizionale, strumento sociale comodo per il governo, piacevole per la popolazione.
NEGLI ULTIMI quarant’anni anni che hanno fatto seguito alle riforme di Deng Xiaoping, le campagne hanno visto delle trasformazioni epocali. Lo spopolamento e il trasferimento di contadini nelle crescenti aree urbane, l’abbandono dei campi, la loro cementificazione e lo sfruttamento del territorio: questo processo di modernizzazione sfrenata ha dato spazio a una questione complessa, quello delle donne delle campagne, che sono strumentalizzate due volte: per il mantenimento economico della comunità famigliare (sono le prime ad emigrare), e per il proseguimento della linea di discendenza, come imposto dalla morale tradizionale, in linea con gli insegnamenti di Confucio e del culto degli antenati. La retorica della figura tradizionale di “buona moglie e buona madre”, secondo cui la donna assume valore a fianco di un marito da servire e riverire e a cui regalare estesa figliolanza, possibilmente maschile, viene molto messa in discussione nelle città, da giovani donne che realizzano i loro sogni di indipendenza e di emancipazione. Ma nelle campagne la condizione delle donne è a forte rischio di subalternità sociale e di genere, di invisibilità, di cancellazione di identità.
QUI NON SI PUÒ PARLARE di “ritorno” alle tradizioni”. Il fenomeno delle donne rapite a scopo matrimoniale non è una recrudescenza di antiche tradizioni, ma il prodotto di una modernità deviata.
E il fenomeno delle donne rapite a scopo matrimoniale, come si legge in numerosi post nella rete cinese, non si può ignorare, perché «se lo ignoriamo oggi, domani potrebbe toccare anche le nostre figlie».
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Per favore, cancellate la parola “madre” dalla lingua cinese
Perché madre
è già stata
incatenata
legata
trascinata
frustata
venduta
rinchiusa
violentata
ferita
sporcata
abusata
svuotata
calpestata
affamata e infreddolita
umiliata
mutilata
strumentalizzata
triturata
gettata
sorvegliata
e poi dimenticata
in Cina
madre
stessa
ha cancellato
la parola “madre”
dalla lingua cinese
di Yang Lian (traduzione di Sabrina Ardizzoni)
Di Sabrina Ardizzoni