I cinesi pagano la crisi ucraina
Allo stesso modo, come riportato da Alessandra Colarizi su China Files, si è registrato un aumento del 30,4% nel commercio tra Russia e Cina, il quale nel primo trimestre ha raggiunto i 38,18 miliardi di dollari. In tutto il 2021, il commercio con Mosca ha superato i $147 miliardi, con i due leader che lo scorso Febbraio, durante le Olimpiadi e prima dell’invasione, si accordarono per giungere a quota 250. Difficilmente sarà possibile. Se da una parte, le autorità russe e cinesi, al fianco di alcuni media occidentali, deducono un vantaggio strategico nella relazione tra i paesi rispetto al conflitto, in realtà, guardando ai dati più nel dettaglio -come anche riportato da Bloomberg- l’export cinese prima dell’invasione era in crescita, mentre ora è crollato del 7,7% rispetto al 2021. Un risultato persino peggiore di Marzo 2020, quando ci fu l’avvento del Covid.
Al contrario, l’importazione di beni dalla Russia è cresciuta del 26,4% nel primo quarto, ma in generale il collasso di diverse filiere ha prodotto un dato negativo nell’import totale in confronto a marzo 2021. Secondo Reuters si tratta di ben 8 punti percentuali in meno di crescita prevista. Analogamente, se l’export russo in Cina è aumentato, nella totalità -e nonostante l’aumento del prezzo dei combustibili fossili- il suo valore è calato dell’8,3% rispetto ai tre mesi precedenti. Anche le importazioni sono crollate del 16,8%. Il Kiel Institute for the World Economy ha registrato un -70% di container in arrivo sulla costa orientale (Vladivostok) e un -40% su quella occidentale (San Pietroburgo). Si tratta di una dimostrazione concreta di come di fronte ad un Paese sempre più isolato, i cinesi stiano iniziando a pagare per le scelte russe. Una situazione che si dimostra insostenibile già nel breve periodo.
Economia in lockdown
Pechino deve perciò essere sempre più cauta, soprattutto ora che il costo della crisi globale si somma alla situazione interna resa problematica dal Covid. Attualmente un quarto della popolazione, ovvero 373 milioni di persone, sono in lockdown totale o parziale, e si stanno creando tensioni sociali non indifferenti. “Se guardiamo alle province colpite” afferma Rob Subbaraman, capo della ricerca per Asia ex-Japan Economics, “possiamo stimare che coprano il 40% del Pil nazionale”. Il principale centro finanziario del paese, Shanghai, è duramente affetto e la popolazione lamenta persino la scarsità di approvvigionamenti primari. Potenzialmente drammatica anche la situazione per le produzione industriale di Jilin e Guangdong.
Il brusco ritorno della pandemia in Cina è imputato al fatto che la gestione sanitaria di Xi Jinping – caratterizzata da forte isolamento, tracciamento e vaccinazione – non si è mostrata efficace di fronte alle nuove varianti, soprattutto in ambienti a elevata densità demografica. Nonostante il tasso di vaccinazioni sia superiore a quello italiano (88% contro l’84% nostrano), il 12% dei restanti cittadini non vaccinati equivale a più del doppio dell’intera popolazione del Bel Paese ed è composta in buona parte da over-60 (sono 130 milioni i senza dose). Inoltre, Uno studio di Yale ha mostrato una minore efficacia del vaccino domestico, il Sinovac, contro Omicron. Ucraina sanzioni
Lame a doppio taglio
Tuttavia, al netto di queste considerazioni, Xi Jinping sta continuando a porre in quarantena anche gli asintomatici. Una gestione che, sul New York Times, si è arrivati a paragonare allo spettro di Mao e alle sue grandi battaglie come il “Balzo in Avanti”, in quanto non vuole essere abbandonata perché elemento caratterizzante dell’azione politica di Xi, vantata in ogni ambito della propaganda, al pari del grande rapporto con Putin, che arrivò a definire “migliore amico” nel 2019. Entrambi elementi critici in vista del Congresso autunnale. Non dovrebbero esserci rischi per il terzo mandato del Presidente, ma di sicuro questi avvenimenti non passano inosservati alle dinamiche di Partito e alla sua legittimazione agli occhi della popolazione.
Secondo gli esperti, il lockdown cinese, sommato alla guerra e alle sanzioni, potrebbe colpire tanto duramente il mercato globale “da ridimensionare le crisi vissute nel 2020 e nel 2021”. Ne è convinto Richard Martin, direttore dell’IMA Asia. Il Dragone “rappresenta il 20% della domanda globale, ma il suo ruolo nelle catene di approvvigionamento è persino maggiore”. Buona parte delle merci fabbricate nel mondo hanno componenti che vengono dalla Cina, ovvero il paese che risulta essere il primo esportatore e il secondo importatore al mondo. Di conseguenza, le difficoltà dell’economia cinese rispetto alla crisi ucraina e al Covid potrebbero mettere a serio rischio la ripresa dell’economia globale e la sussistenza delle filiere europee. Ucraina sanzioni
Xi ha bisogno di Putin?
Perciò, la complessità della relazione con la Russia non è più solo politica ma inizia a mostrare i propri limiti sul piano economico e sociale. Soprattutto, se calcoliamo che di fronte ad uno scenario economico che si prospetta disastroso per i mandarini, gli scambi con Mosca -nonostante siano in crescita- corrispondano ad appena un quinto di quelli tra Cina e Ue nello stesso periodo (Q1 2022). Pechino acquista prevalentemente petrolio, gas e materie prime agricole e a sua volta vende componenti elettronici, macchinari e veicoli. Nell’ultimo anno la Cina ha aumentato l’import di gas naturale liquido del 22%, ma il principale fornitore rimane l’Australia. L’invio di armamenti cinesi potrebbe ridimensionare la bilancia ma è stato scoraggiato in più occasioni e comporterebbe un’inversione di tendenza imponente: circa l’80% delle armi importate da Pechino tra il 2017 e il 2021 proveniva infatti da Mosca.
Tuttavia, se da una parte la relazione mostra prospettive poco fiduciose, dall’altra trova respiro nella compattezza dell’alleanza atlantica e nella sua crescente espansione in Europa e Asia orientale. Le portaerei americane tornano nel mar del Giappone (non accadeva da 5 anni) di fronte alla Corea del Nord e sotto la Russia, mentre Finlandia e Svezia fanno passi avanti nell’integrazione militare occidentale, insieme a Tokyo e Seoul che partecipano ad un incontro di alto profilo della Nato.
Tra orsi e dragoni
Come spiegato le scorse settimane su Fanpage.it, potenze come il Giappone non hanno mai siglato la fine della Seconda guerra mondiale con Mosca, e ora si sentono minacciati non più da due, ma da ben tre potenze nucleari confinanti (Cina, Corea del Nord e Russia). Allo stesso modo, i timori di Pechino non sono meno imponenti. Oltre all’impatto delle sanzioni e al timore di un conflitto mondiale, la Cina deve tenere insieme più contraddizioni: gli interessi anti-americani e il rapporto con Mosca; gli investimenti europei sulla Nuova Via della Seta; gli interessi in Africa; la politica di non-ingerenza e la situazione domestica; la crescita delle tensioni nel Mar cinese e le sue rivendicazioni territoriali, che nulla hanno da spartire con quelle russe.
Attualmente, dunque, sono più le divergenze che le affinità, tra Russia e Cina. Tuttavia, come anche emerso dal Summit Cina-Ue, se Bruxelles vuole Pechino più distante da Mosca, deve mostrarsi più indipendente da Washington. Un dilemma geopolitico che di giorno in giorno aumenta la sua complessità in misura inversamente proporzionale al tempo rimasto a disposizione per arginare il dilagare di una crisi che, in termini umanitari e socio-economici, potrebbe seriamente farci rivalutare gli ultimi due anni. Ucraina sanzioni
Pubblicato su Fanpage il 16/04/2022
Classe 1989, Sinologo e giornalista freelance. Collabora con diverse testate nazionali. Ha lavorato per lo sviluppo digitale e internazionale di diverse aziende tra Italia e Cina. Laureato in Lingue e Culture Orientali a La Sapienza, ha perseguito gli studi a Pechino tra la BFSU, la UIBE e la Tsinghua University (Master of Law – LLM). Membro del direttivo di China Files, per cui è responsabile tecnico-amministrativo e autore.