Educare il popolo eliminando la pubblicità dai palinsesti televisivi. Ovvero ridurre l’importanza dei gusti dei telespettatori nella scelta dei programmi da mandare in onda. L’analisi di China Media Project.
Ecco un esempio di governo al servizio del popolo cinese. La State Administration of Radio, Film and Television (SARFT), costola del dipartimento della propaganda, ha annunciato lunedì 28 novembre che da gennaio 2012 non saranno più ammessi spot inseriti all’interno di fiction televisive o film della durata di 45 minuti o più.
Il Quotidiano del Popolo, per l’occasione, è uscito con un commento intitolato “Non permettere che gli spot prendano ‘in ostaggio’ le fiction”, sintomo di quanto sia cara alla politica cinese la questione.
Che – non siamo naïf – non ha assolutamente nulla a che vedere con la tutela del telespettatore cinese finalmente liberato dalla schiavitù dei consigli per gli acquisti proprio nel bel mezzo della sua fiction preferita, anche se l’ottica piace molto sia al China Daily e al suo sondaggione su Weibo con percentuali a favore del provvedimento intorno all’80 per cento.
Lo spiega magistralmente David Bandurski su China Media Project facendosi la domanda madre di questi casi: perché? Risposta quantomai banale. Questione di soldi.
L’entrata a gamba tesa della SARFT nel mercato pubblicitario televisivo si inscrive nella campagna governativa di “riforma culturale” dei media, annunciata lo scorso ottobre nella celebre nota del Comitato centrale del Pcc, documento programmatico per rimettere la barra dritta verso una corretta, armoniosa e marxista fruizione dei media cinesi. Sempre nell’interesse del pubblico – in Cina, le masse – e nella prospettiva di un rafforzamento del soft power cinese.
L’ovazione pavloviana dell’imprenditoria televisiva e del web non deve aver convinto molto le alte sfere di Zhongnanhai, che con la SARFT sono passate dai proclami alla chiusura dei rubinetti.
Le reti televisive cinesi, spiega Bandurski, negli ultimi anni hanno registrato un boom delle entrate grazie alla pubblicità inserita all’interno delle fiction televisive, un fenomeno in crescita esponenziale come ricordato da China Files in un recente speciale sulla fiction cinese.
E il business della pubblicità non può che giovare di questa popolarità, spingendo ad una riorganizzazione dei palinsesti in base al gusto del telespettatore, questa volta davvero “nell’interesse delle masse”.
Supergirl – talent show osé messo recentemente all’indice dal governo – una miriade di cloni del “Gioco delle coppie” e Nihao Darwin – non si tratta di plagio, glie l’abbiamo venduto noi! – si sono inseriti nel recente solco dell’intrattenimento televisivo scavato da una produzione di fiction titanica per tutti i gusti, dai viaggi nel tempo, già entrati nel mirino della SARFT alcuni mesi fa, alle love story a ragnatela stile Beautiful, molte importate dalla Corea del Sud.
Il grosso dei soldi, e noi italiani lo sappiamo bene grazie al giro di giostra ventennale del berlusconismo mediatico, si fa con l’entertainment. Non con la cultura, che inevitabilmente nella Repubblica popolare tende a declinarsi in propaganda.
L’obiettivo reale sarebbe quindi disincentivare una programmazione non armoniosa ritrovando spazi per un genuino servizio pubblico televisivo cinese.
Meno tv spazzatura, più tv “di qualità” nelle reti televisive commerciali – che in Cina comunque non possono godere di libertà paragonabili ai regimi televisivi non cinesi.
Bandurski nota infatti la singolarità del provvedimento che vieta gli spot durante le fiction, ma non durante i telegiornali.
Gli addetti ai lavori, dopo un iniziale momento di panico (migliaia di contratti con società pubblicitarie da ridiscutere, tranche di spot già vendute che decadranno tra un paio di mesi), stanno già pensando a come aggirare il divieto.
Dal lato televisivo, si pensa già ad una frammentazione delle serie tv in mini-episodi da 30 minuti, con spot tra uno e l’altro; sul web affiorano le ipotesi di product placement a valanga nelle fiction più in voga – rimarrebbe comunque il problema per quelle ambientate nel medioevo cinese.
I pubblicitari avranno vita più facile: l’ascesa del mercato di internet e della telefonia mobile rappresenta una solidissima alternativa di investimento.
E buona pace per la tv, alle prese col marxismo armonioso con caratteristiche cinesi dello spot pubblicitario.