Tre esplosioni distanti pochi minuti una dall’altra, contro obiettivi governativi a Fuzhou nella provincia sud orientale del Jiangxi, a metà maggio una bomba molotov lanciata all’interno di una banca nella contea di Tianzhu, nella provincia di Gansu, a nord, mentre dal 27 maggio la legge marziale è stata imposta su aree della Mongolia Interna, dopo quindici giorni di proteste di matrice etnica, che hanno portato migliaia di persone per la strada.
Il 4 giugno è l’anniversario di uno degli eventi più bui della Nuova Cina, una ben triste ricorrenza, riverberata vent’anni dopo dai recenti eventi mongoli e da una frustrazione che pone inaspettatamente il Celeste Impero di fronte ad attacchi contro il suo potere centrale. La Cina, ossessionata dal controllo sociale, rilanciato con grande forza anche durante l’ultima Assemblea Nazionale sta mostrando crepe sociali all’interno del suo sviluppo economico sempre più ineguale. In Mongolia interna dall’11 maggio ci sono quotidiane proteste per strada: da venerdì 27 maggio lo stato cinese ha imposto la legge marziale.
Poche le notizie che giungono da una zona che le autorità hanno provveduto a chiudere con solerzia e determinazione. Le cause della protesta hanno un’origine etnica e rispondono ad una sinizzazione crescente e in corso da anni, della regione da parte dell’etnia maggioritaria in Cina, quella han (le stesse cause che nel 2009 provocarono gli incidenti nella regione autonoma del Xinjiang). I pastori e gli studenti mongoli hanno deciso di passare ai fatti di fronte all’ennesimo evento vissuto come un sopruso dello stato cinese. Zona agricola, ma sfruttata dai cinesi per le sue miniere di carbone, il 10 maggio scorso l’ennesima morte di un attivista mongolo schiacciato e trascinato per oltre 150 metri da un camion che trasportava carbone, è stata la classica scintilla che ha messo in moto forti contestazioni.
Di fronte alla mancanza di immediata risposta da parte dello stato cinese nei confronti dell’autore del delitto, sono cominciate le proteste: al momento gli studenti sono stati blindati all’interno delle università e impediti ad uscire, mentre la legge marziale è stata imposta sulla zona. Hu Chunhua, segretario del Partito in Mongolia Interna (è chiamato il piccolo Hu, perché come Hu Jintao, il presidente, si è fatto le ossa tra Tibet e la Communist Youth League) ha incontrato gli studenti, promettendo impegno del governo, come riportato dal Mongolian Daily.
Appena sotto la regione mongola si trova il Gansu, provincia cinese, teatro di un insolito attacco a inizio maggio. Una bomba molotov è stata lanciata all’interno di una banca provocando oltre quaranta feriti. L’attentatore sarebbe Yang Xianwen, 39 anni ed ex impiegato della banca, accusato di furto dall’istituzione bancaria. La sua vendetta ha scosso il web e la socialità cinese: un attacco diretto a un banca non è un evento usuale in Cina. La notizia si è diffusa in rete e ha trovato ben presto un proprio epigono.
Per motivi diversi Qian Mingqi, 52 anni, abitante di Fuzhou, nel Jiangxi, ha annunciato sul suo microblog le esplosioni che il 25 maggio hanno colpito tre edifici governativi, con feriti e – stando alle ultime informazioni – tre morti, compreso l’attentatore. Sui fatti una conferenza stampa convocata dalla polizia è stata improvvisamente annullata, mentre come al solito i media cinesi sigillano nel silenzio ogni fatto contrario all’armonia voluta dai governanti. Qiang Mingqi ha sfogato la propria frustrazione con l’esplosivo, dopo essersi visto demolire la propria casa, senza ottenere alcun risarcimento.
Qian Mingqi, sul cui microblog campeggia una sua foto a Tienanmen, a Pechino, aveva pre annunciato le proprie azioni: «sono in buona salute, aveva postato, sano mentalmente e non ho mai commesso reati fino ad oggi. La mia casa è stata demolita illegalmente e con la forza, causandomi perdite enormi. Da dieci anni cerco inutilmente di avere un risarcimento, mai arrivato. Sono così costretto a un percorso che mai avrei avuto intenzione di intraprendere». E la notte prima delle esplosioni, l’annuncio: «occhio alle prossime esplosioni a Fuzhou». Il suo account su Sina.com in poco tempo ha raccolto oltre 25 mila followers, scatenando la solidarietà dei netizen che lo hanno definito “eroe del popolo”.
Anche per questo i media cinesi hanno immediatamente chiuso il rubinetto delle informazioni, per evitare imitatori e altri gesti di questo tenore. I figli del cielo, i governanti cinesi, sentono sfuggire il proprio controllo sulla popolazione: in attesa dei cambi al vertice, la Cina, sotto la sua apparente stabilità, appare come un’astronave senza un capitano capace di tenere una rotta sicura.