La terra senza tre ‘li’ pianeggianti
Famoso per le sue montagne verdeggianti e il coloratissimo crogiolo di minoranze che le dimora, il Guizhou (贵州) è stato a lungo considerato una delle più povere e più svantaggiate provincie della Cina. Infatti, come suole recitare un rinomato detto popolare, sembrerebbe che in questa terra non ci siano tre giorni di sole consecutivi, che non esistano tre metri di terra pianeggianti e che la gente non abbia tre monete d’argento in tasca (天无三日晴地无三尺平人无三分银).
Dalla catena montuosa dell’Himalaya nel nord ovest dello Yunnan all’altopiano del Yungui a sud est lo scenario cambia e le imponenti cime dei giacchiaci lasciano il posto alle basse, ma non meno belle, colline calcaree del Guizhou.
È, insieme allo Yunnan, la provincia più etnicamente diversa della Cina, con un 39% dell’intera popolazione composto da minoranze. Tra i gruppi più importanti ricordiamo i Hmong, conosciuti in Cina come i Miao, i Dong, i Buyi, gli Shui, gli Yao e i Zhuang.
Hmong o Miao?
Diversi riferimenti nei documenti cinesi che vanno dal 1300 al 200 a.C. dimostrano come il termine Miao non indicasse soltanto gli antenati degli odierni Miao ma un gruppo di minoranze etniche e tribù collinari. Meno avanzati tecnologicamente e culturalmente rispetto agli Han vennero chiamati Man ovvero barbari. Con l’avvento della prima dinastia (221-207 a.C.) e la consequenziale espansione dell’Impero cinese, i Miao furono confinati nelle regioni montuose periferiche. La migrazione divise i Miao in diversi sottogruppi con dialetti, abiti e costumi propri, rendendoli uno dei gruppi etnici più diversificati della Cina. Nero, rosso, bianco, con lunghe corna, fiori e gonna lunga sono solo alcuni dei nomi che i cinesi Han hanno attribuito nel corso degli anni al popolo Miao, in base alle loro caratteristiche fisiche e culturali. Coloro che hanno continuato la migrazione verso sud in Laos, Myanmar, Thailandia e Vietnam sono generalmente conosciuti come Hmong.
Il termine cinese Miao (苗) oggi in Cina racchiude quattro distinti gruppi: il popolo Hmong di Guizhou, Sichuan, Guangxi e Yunnan, i Hmu del Guizhou sudorientale, i Kho Xiong dell’Hunan occidentale e gli Ah-Hmao dello Yunnan.
Tra mito e leggenda: la battaglia di Zhuolu
Attraverso storie e leggende i Miao ritengono che il loro lignaggio derivi dall’antica tribù dei Jiuli e che il Dio della guerra Chi You, leader di questi ultimi, sia il loro antenato.
Mitica creatura metà toro metà uomo, discendente dell’inventore dell’agricoltura Shennong, durante l’era mitologica dei Tre Augusti e Cinque Imperatori, Chi You osò sfidare l’Imperatore Giallo (Huangdi) nella battaglia di Zhuolu.
La leggenda narra che durante la battaglia, Chi You emise una fitta nebbia e oscurò la luce del sole, ma grazie all’aiuto di una bussola l’Imperatore Giallo e i suoi uomini riuscirono a trovare la via d’uscita. Chi You evocò quindi una forte tempesta, ma l’Imperatore chiamò in suo soccorso il demone della siccità Nuba che spazzò via le nuvole pulendo così il campo di battaglia.
Dopo la sconfitta inflitta dalle truppe di Huangdi, i Jiuli furono costretti ad abbandonare la fertile valle del Fiume Giallo. Si divisero in due gruppi, i Miao (苗) migrarono nel sud ovest e i Li (黎) nel sud est.
Una tradizione tramandata tra fili e aghi
Ci sono circa sette milioni di Miao in Cina, di cui la maggioranza è concentrata nella provincia del Guizhou. Appartenente al gruppo linguistico Miao-Yao della famiglia sinotibetana, la lingua Miao è costituita da otto toni e da una fonologia abbastanza complessa. Sono cinque le principali lingue Miao-Yao divise a loro volta in un certo numero di dialetti e sottodialetti spesso incomprensibili tra di loro. I Miao non hanno una lingua scritta e l’arte del ricamo rappresenta una delle tradizioni più antiche nel documentare la loro storia e cultura. Attraverso i ricami tramandati di generazione in generazione, i Miao infatti non solo esprimono le loro credenze, ma trascrivono con fili e aghi i cambiamenti sociali che il loro popolo ha subito nel corso dei secoli.
Ancora oggi quando non lavorano nei campi, le donne Miao si riuniscono nelle piazze per cucire e tra una chiacchiera e l’altra producono opere d’arte ispirate alle loro canzoni e leggende popolari.
Combinando la mitologia con la loro creatività danno vita a disegni vividi e unici. Ogni modello illustra un aspetto specifico della loro cultura, rendendo il ricamo patrimonio unico e straordinario di questo popolo. Dalle gonne alle fasce dove avvolgono i loro bambini, i ricami sui loro vestiti sono estremamente colorati e complicati, dalle linee pulite e ben definite. I lavori più impegnativi spesso richiedono il lavoro congiunto di diverse generazioni di nonne e nipoti. Quando i piccoli di casa piangono o le rane gracidano, i Miao credono sia meglio dedicarsi ad altro.
Danze al suono di lusheng
Sono diverse le festività celebrate dal popolo Miao e cambiano a seconda del gruppo di appartenenza. Il capodanno e il festival lusheng sono tuttavia le più importanti, celebrate dalla maggior parte delle comunità Miao.
Il nuovo anno Miao, a differenza di quello Han, ricorre solitamente tra settembre e novembre e può durare dai cinque ai quindici giorni. La data non è sempre la stessa e viene annunciata con due mesi di anticipo, dando così la possibilità ad ogni famiglia di preparare sufficienti provviste di carne e vino di riso glutinoso per amici e parenti. Una delle tradizioni più antiche svolte in questo periodo, specialmente dalle persone anziane, è il culto degli antenati. I Miao offrono in omaggio ai loro defunti carne e frutta secca per mostrare loro rispetto e devozione.
Elemento comune delle varie celebrazioni è sempre la danza accompagnata dal magico suono del lusheng. Il lusheng (芦笙) è uno strumento a fiato in legno e metallo composto da una o più canne in bambù, la cui grandezza può variare dai trenta centimetri ai tre metri. Poiché i Miao non hanno una lingua scritta, non esistono spartiti per le melodie del lusheng. Tutto si tramanda di generazione in generazione, creando delle discrepanze tra le canzoni del passato e quelle odierne.
In occasione della festa dedicata all’antico strumento musicale, le donne Miao con addosso i loro fastosi costumi danzano a ritmo di lusheng, suonato dai loro uomini. Oltre la danza, le attività svolte in questi giorni sono il canto, la corrida e le corse di cavalli.
Il festival lusheng, celebrato non solo nella provincia del Guizhou ma anche nello Yunnan e nel Sichuan, inizia il sedicesimo giorno del primo mese lunare ed è un buon auspicio per il raccolto del nuovo anno.
Un turismo poco sostenibile
A partire dagli anni novanta il governo cinese ha intrapreso un piano di urbanizzazione delle aree più povere della Cina utilizzando il turismo come mezzo di promozione. Nel 1992, il Guizhou è stata la prima provincia a lanciare un programma di sviluppo del turismo etnico che aveva come obiettivo principale la riduzione della povertà della popolazione locale. Con la campagna cinese Open Up to West del 2000, molti dei villaggi delle minoranze etniche nel Guizhou sono stati interamente ricostruiti per renderli più appetibili non solo agli occhi dei turisti nazionali ma anche di quelli internazionali. Eppure, nonostante i buoni propositi, sembrerebbe che l’impatto e lo sviluppo del turismo si siano dimostrati abbastanza incoerenti.
I beneficiari maggiori di questa rapida crescita sono stati le agenzie di viaggio che ancora oggi organizzano spettacoli giornalieri controllando il comportamento di ogni singolo cittadino e gli investitori stranieri, proprietari della maggior parte delle strutture alberghiere e ristoranti all’interno del villaggio.
I pareri dei locali sembrano essere contrastanti tra di loro. Alcuni sostengono che il turismo abbia apportato notevole ricchezza ai residenti, altri sostengono di non essere stati inclusi nelle opportunità generate da quest’ultimo e che abbia inoltre eroso la cultura Miao.
La verità come nella maggior parte dei casi risiederà sicuramente nel mezzo. Nel frattempo, ci auguriamo che il Dragone lavorerà in futuro su un tipo di turismo più sostenibile, basato sulla qualità più che sulla quantità, ma soprattutto che le tradizioni di questo magnifico popolo continueranno ad essere tramandate negli anni avvenire.
Di Angela Piscitelli
Angela Piscitelli nasce a Isernia nel 1988. L’amore viscerale verso l’esotico la porta per la prima volta in Asia nel 2012. La decisione di esplorare in tutte le sue dimensioni il continente asiatico si realizza nel 2014, quando, terminati gli studi in Lingue e Civiltà Orientali a Roma, si stabilisce a Shanghai dove consegue un Master in Giornalismo e Comunicazione. La sperimentazione fotografica trova ampia espressione durante i suoi viaggi, dove prende piede la passione per il ritratto e la fotografia di strada, l’unica capace di riprendere i soggetti in situazioni reali e spontanee nella vita di tutti i giorni.