Yuriko Koike lo ha rifatto: ha rivinto le elezioni locali a Tokyo, ottenendo la conferma a governatrice per altri quattro anni. Non che l’esito finale delle urne fosse mai sembrato in bilico, ma le proporzioni della vittoria parlano da sole. A scrutinio terminato, Koike totalizza il 59,7% dei voti. Il suo primo rivale, l’ex presidente dell’albo nazionale degli avvocati giapponesi Kenji Utsunomiya (sostenuto dal Partito costituzionale democratico, è arrivato a una distanza siderale: 13,8%. L’ex attore anti sistema Taro Yamamoto arriva terzo al 10,7%, mentre l’ex vice governatore della prefettura di Kumamoto Taisuke Ono non va oltre il 10%.
Una vera sfida non c’è mai stata, vista la grande popolarità di Koike a livello locale (se così si può chiamare un’area metropolitana con oltre 11 milioni di abitanti) e nazionale. La sua vittoria pareva talmente scontata che anche l’affluenza si è abbassata di quattro punti percentuali (dal 59% al 55%) rispetto al 2016, quando diventò la prima donna ad assumere il ruolo di “sindaco” della capitale nipponica. Per Koike ha votato la stragrande maggioranza dell’elettorato conservatore. Non a caso il partito liberal democratico, quello di Shinzo Abe, non ha presentato nessun candidato, lasciandole di fatto campo libero ed evitando un bis di quanto accaduto quattro anni fa, quando il partito del premier si espose ufficialmente per Hiroya Masuda e ne uscì duramente sconfitto, con lacerazioni anche al suo interno.
“Sono estremamente contenta del risultato, ma al tempo stesso sento la responsabilità del mio compito nei quattro anni a venire”, sono state le sue prime parole. Il primo, importante, step sarà quello di curare il secondo avvicinamento alle Olimpiadi, inizialmente previste per questa estate e poi rimandate al 2021 a causa della pandemia da coronavirus. Koike continua a sostenere che i Giochi Olimpici si faranno, nonostante in molti abbiano dubbi che l’epidemia possa essere davvero del tutto neutralizzata entro allora.
Al momento, il Covid-19 è ancora ben presente a Tokyo. Nella giornata del voto, domenica 5 luglio, si sono registrato 131 nuovi contagi, il dato più alto dallo scorso 5 maggio e dalla fine delle misure di emergenza alla fine dello stesso mese. Dall’inizio dell’emergenza, la capitale giapponese ha registrato 6400 casi, il bilancio peggiore tra le 47 prefetture del Giappone. Nonostante questo, Koike ha conquistato popolarità proprio per la sua linea di gestione pandemica, in contrapposizione a quella del primo ministro Abe.
Koike non ha sposato l’approccio morbido del governo centrale, che avrebbe voluto evitare chiusure per favorire le attività commerciali e salvaguardare soprattutto l’economia. La governatrice ha invece insistito sulla tutela sanitaria, imponendo una maggiore cautela a livello locale e promuovendo l’istituzione di un centro di controllo e prevenzione dedicato alle epidemie. Il tutto accompagnato a misure di sostegno economico alle imprese e alle attività. Durante la campagna elettorale, non ha mai svolto comizi e si è limitata a eventi online (anche perché, visti i sondaggi, non aveva bisogno di fare altro).
Ma la popolarità di Koike deriva anche dall’efficace gestione del suo primo quadriennio, nel quale ha ottenuto il taglio dei costi dell’amministrazione, un grande aumento di posti negli asili nido (tema molto sentito a Tokyo), il giro di vite contro il fumo passivo. E poi le Olimpiadi, che avrebbero dovuto riportare Tokyo sul palcoscenico globale. Koike è convinta che i Giochi possano svolgere ancora questo ruolo e si batterà per far sì che la più importante manifestazione sportiva del mondo si possa regolarmente tenere, seppure con un anno di ritardo. I suoi quattro anni sono stati caratterizzati da scelte che possono sembrare minori ma che invece sono rilevanti, come lo spostamento del mercato del pesce da Tsukiji a Toyosu per aumentarne il giro d’affari.
La sua agevole vittoria riporta all’ordine del giorno una ormai datata, ma sempre attuale, suggestione: la possibilità che Koike diventi la prima donna premier del Giappone. Un’ipotesi che circola da diverso tempo, sin da quando, dopo essersi dimessa da ministro della Difesa del primo governo Abe nel 2007 (appena due mesi dopo aver assunto l’incarico), tentò la scalata interna al partito liberal democratico. Operazione fallita, ma Koike è rimasta comunque all’interno della forza di maggioranza per diverso tempo, fino alla conquista del ruolo di governatrice della capitale, svolto seguendo lo slogan “Tokyo First“, ricalcato su quello di Donald Trump.
Koike è infatti una nazionalista convinta, tanto da fondare un partito su posizioni espressamente populiste come il Kibō no Tō, col quale nel 2017 ha riprovato la scalata a livello nazionale. Anche stavolta è andata male, ma lei ha saputo dividere la sua sorte da quella della neonata forza politica, mantenendo una figura e una dimensione indipendenti. La sua contrapposizione ad Abe e la conferma alla governatrice di Tokyo possono dare nuova linfa al suo sogno di diventare premier.
Anche perché, nel frattempo, il primo ministro sembra davvero sul viale del tramonto. La sua popolarità è ai minimi storici: secondo le ultime rilevazioni di Nhk, Abe godrebbe del sostegno solamente del 39% dei cittadini. Un numero influenzato da una serie di scandali che si sono abbattuti su uomini vicini al premier. L’ex ministro della Giustizia Kawai Katsuyuki e la moglie, la parlamentare Kawai Anri, sono stati arrestati per aver comprato voti durante la campagna per le elezioni dello scorso anno. Il procuratore Hiromu Kurokawa, capo dell’Alta Procura di Tokyo, si è dimesso a causa del suo coinvolgimento nel gioco d’azzardo clandestino durante lo stato di emergenza.
La situazione economica non sta certamente aiutando Abe. A maggio, ultimo dato disponibile, l’export è calato del 28,3% su base annua, avvicinandosi al crollo post crisi finanziaria del 2009. L’import è invece diminuito del 16,2%. Le entrate fiscali del Giappone sono calate ai minimi da tre anni già prima della pandemia. L’aumento dell’imposta sul valore aggiunto dall’8 al 10%, imposto lo scorso ottobre, non è servito a compensare le minori entrate causate dall’abbassamento delle tasse sulle aziende. Scommessa che non ha pagato anche a causa dell’epidemia, che ha di fatto azzerato i benefici di tale misura per le aziende. Non a caso la fiducia della grande manifattura giapponese è crollata ai minimi da oltre un decennio, dopo che la produzione è crollata in tutti i settori. In particolare nel cruciale comparto automotive, che fa segnare cali devastanti su base annua. e che ha visto le esportazioni diminuite del 64,1% a maggio. Senza contare la crisi di liquidità che ha portato a una diminuzione sostanziale delle operazioni di riacquisto nei capitali azionari.
Abe sta provando a reagire con un nuovo piano sul lavoro post Covid, focalizzato sulla flessibilità di modalità di lavoro, digitalizzazione e abolizione dei tassi di trasferimento inter-bancari. Una sorta di rivoluzione, per un paese come il Giappone dove smart working e pagamenti alternativi ai contanti non sono ancora sviluppati come in altri paesi asiatici, in primis Cina e Corea del sud.
In materia di politica estera, le cose non vanno molto meglio. Abe avrebbe voluto promuovere una distensione con la Cina ed era in programma lo scorso aprile una visita di Xi Jinping a Tokyo. Visita inizialmente rimandata a causa della pandemia, ma che ora sembra del tutto cancellata. Il clima nei confronti di Pechino è infatti costantemente peggiorato nel paese, sia a livello popolare (per la scarsa fiducia in seguito all’epidemia) sia a livello politico. Abe ha lanciato il programma China Exit per favorire il rientro delle imprese nipponiche che operano in Cina, o una loro delocalizzazione in paesi terzi. E sulle isole Senkaku/Diaoyu la temperatura è tornata alta. Tokyo è tra i paesi asiatici che più si è espresso sui temi maggiormente a cuore su quello che il Partito Comunista Cinese considera il proprio fronte interno: Hong Kong, condannando la nuova legge sulla sicurezza nazionale, e Taiwan, lodando la gestione pandemica del governo di Taipei e chiedendone l’ammissione all’Oms.
Tutto questo, sommato alla progressiva erosione della fiducia in Abe ha fatto fallire il piano di modifica della costituzione post seconda guerra mondiale e ora apre spazio a una possibile crisi interna al partito di maggioranza. E c’è già chi parla di elezioni anticipate. Il premier più longevo del dopoguerra nipponico rischia di arrivare all’appuntamento con la successione troppo debole per incidere davvero. Anche perché il possibile erede che avrebbe individuato per la presidenza del partito, l’ex ministro degli esteri Fumio Kishida, non lascia entusiasti molti volti influenti all’interno della forza politica. La corsa rischia di diventare una corsa a eliminazione tra diversi candidati esponenti di diverse correnti, sfuggendo al controllo dello stesso Abe, che nel frattempo secondo indiscrezioni dei media locali starebbe pensando a elezioni anticipate in autunno per consolidare la maggioranza in vista degli impegnativi mesi pre olimpici.
Koike, dalla sua poltrona di Tokyo, osserva.
[Pubblicato su Affaritaliani]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.