Con un fatturato che nel 2021 ha raggiunto i 4,6 miliardi di dollari, TikTok è una delle app di intrattenimento più utilizzate nei paesi occidentali. Ma la sua enorme popolarità in Europa e Stati Uniti ha generato non poche preoccupazioni sulla natura dei suoi rapporti con Pechino e con la casa madre cinese Bytedance. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione con l’Istituto Confucio di Milano.
TikTok, una app cinese che ce l’ha fatta
Con un fatturato che nel 2021 ha raggiunto i 4,6 miliardi di dollari (un aumento del 142% di anno in anno) TikTok è una delle app di intrattenimento più utilizzate nei paesi occidentali. Lo scorso anno si è anche guadagnata il record di app più scaricata al mondo, con 3 miliardi di download. Nel 2022 gli utenti attivi su base mensile hanno superato i 1,6 miliardi. Si tratta di un caso unico del suo genere: una app prodotta nella Repubblica popolare che non solo è riuscita a penetrare il mercato occidentale, ma ha anche raggiunto un successo tale da fronteggiare il monopolio delle app statunitensi.
TikTok è stata creata nel 2016 come versione internazionale dell’app di video brevi cinese Douyin (抖音), entrambe pensate dal colosso del tech ByteDance, fondato da Zhang Yiming nel 2012. Determinante per il suo esordio nel mercato occidentale pare essere stata l’acquisizione a fine 2017 di un’altra app di video brevi, Musical.ly. Quest’ultima aveva già raggiunto il pubblico di Stati Uniti ed Europa a suon di video di lipsyncing e balletti correlati da effetti speciali.
TikTok, una app democratica
Tra i punti di forza di TikTok figura un elaborato sistema di raccomandazione capace di suggerire contenuti specifici dopo aver preso atto delle preferenze espresse dall’utente attraverso le interazioni con l’applicazione. La sezione dedicata sul sito della società lo descrive come un elemento imprescindibile dell’esperienza della app, progettato per far vivere agli utenti “un’esperienza più personalizzata”. Rispetto ad altri social media come Instagram, i suoi utenti spendono molto più tempo nella sezione “Per Te” che a seguire account già inseriti nella propria “cerchia” social.
L’algoritmo di TikTok, quindi, garantisce visibilità anche a quei content creator che non possono ancora contare su un gran numero di like e interazioni. Se è ovvio che account molto seguiti ricevano in generale più interazioni, è altresì vero che un qualsiasi contenuto potrà essere promosso dall’algoritmo al pari di un altro più virale, se in linea con le esigenze di intrattenimento di un certo tipo di pubblico. Ecco perché gli articoli che promettono di svelare tutti i “trucchi” per diventare un influencer di successo suggeriscono di “trovare una sottocultura” e di produrre contenuti mirati. Su TikTok pare che ci sia spazio per tutti.
TikTok, una app ambiziosa
Ma non basta. Di recente, forte della sua popolarità, la società ha provato a inserire nuovi elementi nel mercato occidentale, come il sistema di vendite in live streaming. Douyin, in Cina, ne ha fatto un suo cavallo di battaglia e il suo valore lordo della merce (GMV) aumenta del 320% su base annua. Nel 2021 il Regno Unito è diventato il primo paese dove la società ha fatto esperienza di TikTok Shop, che consente a influencer e utenti di provare l’ebbrezza di promuovere prodotti in diretta e venderli direttamente in app.
Nei mesi scorsi, tuttavia, il Financial Times ha veicolato una variegata serie di lamentele di dipendenti e collaboratori del servizio. Tra i punti critici citati, paghe troppo magre, un servizio di logistica poco efficiente, la bassa qualità della merce disponibile per la vendita e lunghi orari di lavoro. In sostanza ByteDance è stata accusata di aver esportato un modello di business senza «localizzare l’esperienza».
Ma dalle testimonianze di chi lavora o ha lavorato per TikTok (che i media internazionali sembrano attendere con impazienza, desiderosi di capire cosa si nasconda dietro prestazioni così brillanti) sono emersi anche i punti di forza che consentono all’app di rimanere sempre in linee con le tendenze social. In sostanza, la società promuove una forte competizione tra i team di progetto, riduce le scadenze e obbliga i dipendenti a una collaborazione costante tra uffici cinesi e quelli locati in altre parti del mondo.
TikTok: una minaccia alla sicurezza nazionale
Ed è proprio in relazione alla natura dei suoi rapporti con Pechino e con la casa madre cinese che TikTok sta tentando di definirsi quanto più indipendente possibile. A giugno 2022, infatti, alcuni legislatori repubblicani statunitensi sono tornati alla carica accusando la società di rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale. I rischi risiederebbero nella modalità di raccolta e conservazione dei dati degli utenti. Era della stessa idea Donald Trump, quando durante la sua presidenza aveva tacciato l’app di spiare i cittadini americani.
Nel 2020 la Commissione per gli affari esteri negli Stati Uniti (Cfius) aveva fissato diverse scadenze per costringere la società a recidere i rapporti con Bytedance: l’azienda statunitense Oracle avrebbe dovuto acquistare la popolarissima app, pena il ban totale dagli app store di Google e di Apple. Ma complici le battaglie legali intraprese da TikTok, i mesi successivi non avevano visto concretizzarsi né acquisizione né messa al bando. Fino a quando a giugno dello scorso anno l’amministrazione Biden ha eliminato le norme introdotte dal suo predecessore.
TikTok: una app indipendente
Ma ciò non è da interpretarsi come una posizione più rilassata nei confronti della condotta della società. Lo dimostra il fatto che TikTok sta perseguendo una vera e propria strategia volta a “minimizzare” i rapporti con la casa madre. Nei mesi scorsi, infatti, il blog sul mondo tech Gizmodo ha reso pubblici due documenti interni della società, che mostrano elenchi di risposte a domande sensibili che potrebbero essere avanzate dai media. Nei documenti si legge che bisogna “sminuire la società madre ByteDance e l’associazione con la Cina”. E al contempo “enfatizzare TikTok come brand” a sé stante.
Nel pieno degli screzi con l’amministrazione Trump, il responsabile delle politiche pubbliche di TikTok per Europa, Africa e Medio Oriente Theo Betram aveva detto alla BBC che “l’app non è nemmeno disponibile in Cina” e che sulle relazioni tra le due società pesava “molta disinformazione”. Betram aveva anche assicurato che “non abbiamo condiviso e non condivideremo i dati degli utenti con il governo cinese e non lo faremo se ci verrà chiesto”. Dichiarazioni che tentavano di rispondere alle accuse mosse dall’allora segretario di Stato degli Stati Uniti Mike Pompeo, in visita nel Regno Unito, secondo cui i dati degli utenti sarebbero di certo finiti “nelle mani del Partito comunista cinese”.
TikTok non sembra destinata a una vita facile. Malgrado di recente la società abbia chiarito che l’utilizzo principale dell’app è per scopi di intrattenimento, molti evidenziano come sia utilizzata dai giovanissimi ormai alla stregua di motore di ricerca principale (e il 60% dei suoi fruitori ha tra i 16 e i 24 anni). Si teme che oltre a un utilizzo non sicuro dei dati, TikTok possa essere utilizzata come strumento di promozione alla mercè del governo della Repubblica popolare cinese.
Non tranquillizza neanche il fatto che nella lettera indirizzata lo scorso giugno ai legislatori Usa TikTok abbia rimarcato di essere controllata da un amministratore delegato non cinese, il singaporiano Shou Zi Chew, ex dirigente di Xiaomi. Un lungo articolo del New York Times, infatti, ne ha illustrato la scalata al successo lavorativo e ha raccontato le sfide che deve affrontare per combinare le richieste di ByteDance e quelle dei regolatori europei e statunitensi.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.