Tik Tok la popolare app di mini video che ha spopolato in Occidente, a breve dovrebbe essere acquisita, per quanto riguarda le sue attività americane, da Microsoft e Walmart per una cifra valutata tra 20 e 30 miliardi di dollari.
Si tratta di una delle ultime notizie accostate a Tik Tok, diventato un argomento ricorrente sui media tra geopolitica, tecnologia e costume. L’accoppiata Microsoft-Walmart (entrata per bloccare l’eventuale acquisizione da parte di Oracle) è stata annunciata proprio da Walmart, secondo la quale «Siamo fiduciosi che una partnership con Microsoft soddisferà sia gli utenti statunitensi di Tik Tok sia le preoccupazioni delle autorità di regolamentazione del governo degli Usa».
LE DUE AZIENDE hanno partnership da molto tempo e Tik Tok permetterebbe a Walmart di entrare in un mercato del tutto nuovo, all’interno del quale sviluppare strategie per il proprio business. Le aspettative saranno alte e la possibilità che si formi una nuova «piattaforma» potrebbe scuotere un mercato ormai egemonizzato da Facebook, Google, Apple e Amazon. L’eventuale acquisizione pare sia questioni di giorni; rimangono le domande sul perché Tik Tok, un’applicazione di video brevi e tendenzialmente scanzonati o ludici, sia diventata un terreno di scontro tra Cina e Usa.
Estensione americana della cinese ByteDance, un colosso che ormai fa concorrenza ai big in patria grazie a servizi di news, di mini video e di motore di ricerca, Tik Tok è finita nell’occhio del ciclone dopo l’ordine esecutivo con il quale Trump accusava l’app di consegnare i dati raccolti al governo cinese, obbligando l’azienda a vendere il suo ramo americano pena l’esclusione dal mercato. Il tema ha sollevato numerose discussioni; in particolare due sono gli elementi su cui focalizzarsi: perché Trump ha preso di mira un’app di entertainment puro? E perché la Cina non sembra avere intenzione di difendere più di tanto l’app «cinese» rispetto a quanto fatto, ad esempio, per Huawei?
PARTIAMO DAGLI STATI UNITI, la cui decisione segue il ban che Tik Tok ha sofferto in India, a seguito degli screzi territoriali tra Pechino e Delhi. Secondo molti osservatori la forza di Tik Tok sta nell’algoritmo: per la prima volta un algoritmo creato da cinesi è stato in grado di attrarre milioni di adolescenti, e non solo, del mondo occidentale. Merito dell’intelligenza artificiale che consentirebbe una perfetta «personalizzazione» dell’app, in grado di fidelizzare gli utenti e catturarne sempre di nuovi. Nelle settimane che sono seguite all’ordine esecutivo di Trump si è molto parlato di geopolitica, collegata allo scontro più generale tra Cina e Usa, ma secondo alcuni osservatori il problema per l’amministrazione americana non sarebbe tanto la «sicurezza» quanto la forza dell’algoritmo.
La pensa così Henni Sender che su Asia Nikkei Review ha scritto che al centro della diatriba ci sono proprio gli algoritmi dell’app. «Dovrebbe esserci una barriera culturale per le aziende tecnologiche cinesi per entrare nel mercato statunitense», ha raccontato Eugene Wei in un recente podcast di TechBuzz China.
«MA GLI ALGORITMI ByteDance servono buoni contenuti, usano il tuo feedback per addestrare l’Ai sui tuoi gusti, un video alla volta. Ti leggono nella mente. E aiutano i creatori (di contenuti) a monetizzare i loro video». Il merito di tutto questo sarebbe di Zhang Yiming – il fondatore dell’azienda – che ha spesso descritto se stesso come un coder, un programmatore, prima ancora che un imprenditore. Si dice che il codice che rende Tik Tok così potente in termini di raccolta dati e fidelizzazione sia per lo più suo. Di sicuro Zhang ha avuto anche ottime capacità imprenditoriali, perché oltre a Tik Tok ha creato Tioutiao uno dei siti che aggrega notizie tra i più seguiti in Cina e ha saputo trovare partnership importanti, prima tra tutte quella di Sequoia Capital, una big tra i finanziatori di progetti hi-tech.
NEGLI ULTIMI GIORNI sono accadute altre cose: a Pechino si è diffusa una sorta di diffidenza sui social media riguardo Tik Tok, rea di avere preso le distanze in modo troppo rapido da Pechino (una difesa ovvia, con tanto di ricorso contro l’ordine esecutivo di Trump) e le dimissioni del Ceo di Tik Tok, dopo soli tre mesi, quel Kevin Mayer ex Disney il cui passaggio all’azienda cinese aveva sancito un momento storico per il mondo hi-tech al di qua della Muraglia. Mayer ha mandato una nota ai dipendenti nella quale specificava che «l’ambiente politico è cambiato drasticamente» La sua decisione ha reso evidente che la pressione americana ha avuto gli effetti sperati: per un manager come Mayer meglio non inimicarsi l’ambiente imprenditoriale Usa, meglio evitareil rischio di avere l’etichetta – da qui in futuro – di «amico della Cina».
E PER SIMILI MOTIVI di opportunità sembra essersi mossa la Cina. Pechino non ha difeso strenuamente l’applicazione, come fatto ad esempio con Huawei, per diversi motivi: in primo luogo per provare a distanziarsi dall’azienda evitando così di dare fiato alle trombe che vogliono ByteDance completamente in balìa del partito comunista. In secondo luogo, e forse è la motivazione più convincente, perché Tik Tok è privata, il fondatore Zhang è ben diverso, politicamente, da Zheng Renfei, il fondatore di Huawei e allineato in termini politici con il Pcc, e soprattutto perché Tik Tok è un problema anche per la Cina: la quantità di video postati sull’applicazione (che in Cina si chiama Douyin) rende difficoltosa la censura; Tik Tok, dunque, non è granché apprezzata neanche a Pechino dove si teme ogni nuovo prodotto in grado di rendere problematico il controllo politico.
Sul Financial Times un articolo dal titolo eloquente «Perché per Pechino Tik Tok non è come Huawei» specificava che «Huawei è molto più importante di ByteDance per l’economia domestica, su cui il Pcc ha costruito la sua legittimità. Huawei ha realizzato le antenne per telefoni cellulari che hanno supportato la rivoluzione tecnologica mobile della Cina e impiega legioni di operai».
BYTEDANCE, invece, «realizza app di notizie e video che sono fonte di preoccupazione per i censori di Pechino. Sebbene sia una delle poche aziende che ha continuato ad assumere durante la pandemia , assume principalmente laureati d’élite nelle grandi città». Ma soprattutto c’è un problema strategico di fondo: intanto Huawei senza i chip americani o taiwanesi rischia l’esistenza, in più il 40% dei ricavi di Huawei proviene dall’estero, il resto è tutto «cinese», mentre ByteDance sta utilizzando i profitti cinesi all’estero, per conquistare altri mercati. Infine, mentre le reti di Huawei significano rapporti strategici con i paesi che le usano, «gli algoritmi di Tik Tok lo hanno reso virale a livello globale, ma non generano dipendenza strategica. È molto più facile per gli adolescenti del mondo trovare un’altra moda che per i governi strappare le loro infrastrutture di telecomunicazioni».
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.