Il governo del Tibet ha dato il via libera alle grandi aziende nazionali per l’estrazione e l’imbottigliamento dell’acqua dai ghiacciai dell’Himalaya. Mentre le società si azzardano a scommettere somme ingenti, le voci degli esperti mettono in guardia circa le gravi conseguenze ambientali. Tibet 5.100 è l’acqua più rinomata di tutta la Cina. La bevono i passeggeri di Air China in prima classe e in business; la bevono i convitati dei principali appuntamenti del Partito, come ad esempio durante le celebrazioni ufficiali dell’anniversario della fondazione della Repubblica popolare, il primo ottobre.
La sorgente si trova a Dongziong, una contea a 170 chilometri a nord di Lhasa, 5.100 metri sopra il livello del mare. Nelle grandi città, come Pechino e Shanghai, una bottiglia (da 550 ml) costa 7,5 yuan, cinque volte tanto il prezzo delle marche comuni. Oltre a Tibet 5.100, ci sono oggi poche altre imprese, come Sinopec e Qumolangma (acqua dal ghiacciaio dell’Everest), che estraggono l’acqua dall’Himalaya per poi distribuirla a Hong Kong e nella Cina continentale, ma nei prossimi anni, questi prestigiosi marchi avranno a che fare con molti altri concorrenti.
I cinesi hanno cominciato a bere acqua in bottiglia dopo essersi preoccupati per l’inquinamento delle sorgenti naturali. Il paese occupa il primo posto per numero di consumatori e di produttori d’acqua in bottiglia, il consumo dell’acqua imbottigliata è in aumento costante e la purezza dei ghiacciai dell’Himalaya è garantita: per questi motivi l’altopiano tibetano diventerà la nuova «fabbrica» di acqua premium del paese.
«L’acqua in bottiglia costa, ma la gente è disposta a pagare la sicurezza», ci ha spiegato Jennifer Turner, direttrice del Forum dell’ambiente in Cina presso l’Istituto Internazionale Woodrow Wilson di Washington. Xi Jinping, il presidente della Cina, ha enfatizzato il suo impegno a costruire una «società ecologica», ha rinforzato le politiche per conservare meglio i boschi e le zone protette, e ha preso delle misure ad hoc per proteggere i ghiacciai e per combattere il cambiamento climatico. Ma a livello locale, si cominciano a vedere certe distonie.
Per far diventare il Tibet una potenza idrica, le autorità tibetane hanno concesso licenze a 28 aziende per poter lavorare nella zona e le prospettive in futuro sono di far nascere un’industria da 6,3 miliardi di dollari che imbottiglierà 10 milioni di metri cubi d’acqua entro il 2025 (nel 2014 ne sono stati prodotti 153mila).
Funzionari del governo hanno ribadito, verso la metà dell’anno scorso, che il tutto verrà fatto all’insegna «dell’armonia, della stabilità, della protezione dell’ambiente e della sicurezza durante la produzione». Nonostante tutto, l’altopiano tibetano è, a livello mondiale, tra le zone più vulnerabili al cambio climatico e il progetto di espansione che sostiene il governo locale potrebbe provocare serie conseguenze nel «terzo polo», così chiamato perché è considerato la terza sorgente al mondo per quantità di acqua, dopo l’Antartide e l’Artico.
L’Accademia delle Scienze della Cina ha confermato che negli ultimi 30 anni i ghiacciai dell’altopiano tibetano si sono ridotti del 15 per cento. Nell’immediato ciò sarebbe positivo per le industrie imbottigliatrici ma, nel lungo periodo, i fiumi che nascono in quella regione, tra i quali ci sono i dieci principali fiumi che percorrono l’Asia meridionale, potrebbero asciugarsi.
Le società idroelettriche sono la principale minaccia ambientale in Tibet, insieme alle industrie che consumano grosse quantità di acqua. Le aziende come Tibet 5.100 hanno assicurato che l’estrazione dell’acqua dal ghiacciaio non metterebbe a repentaglio l’ambiente e non sarebbe sufficiente per asciugare i fiumi. Il The Guardian, in un articolo di qualhe tempo fa, si è chiesto: «Sarebbe comunque etico estrarre acqua nelle aree protette nelle quali i ghiacciai diminuiscono e dove il governo centrale investe milioni di yuan per la sua conservazione?»