Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
26 aprile 2010, 16:18
Vini e cortesie
I doni sono parte integrante della cultura orientale. È risaputo. Il mio capo, pur nella sua costante rivendicazione di diversità, non è dunque esente da tale pratica. Che è piacevole, senza dubbio. A tratti imbarazzante.
Per esempio quando uno non sa come e in che situazione ricambiare. Allora metti su anche tu un turbillon di gentilezze che a tratti ti pare eccessivo. Perché, in fin dei conti, tradisce ancora formalità.
Il suo atteggiamento, tuttavia, non mi è ancora del tutto chiaro. Come spesso, oscilla tra la formalità e la villania.
Giorni fa, gli avevo domandato se il mio compagno poteva unirsi al nostro viaggio per un articolo sul Sassicaia. A essere precisi, glielo avevamo domandato insieme parecchio tempo prima. Lui era in serata alcolica, dunque aveva detto sì, persino con slancio.
Poi, quando siamo a Firenze io e lui, una mattina, mentre facciamo colazione, mi dice: “Meglio che M. non venga, potrebbe esserci un conflitto (perché ci ospita il Marchese, ndr)”.
Lungi dal replicare, ribatto solo, masticando a fatica il mio croissant: “Ok, glielo dirò”. Passa qualche altro giorno e ripartiamo per l’Elba. Lì, preso dai sensi di colpa (immagino), vuole comprare per M. una bottiglia di vino e del foie gras (immagino perché sia ormai vittima di un fittizio immaginario napoleonico che gli fa legare indissolubilmente l’Elba alla Francia). Porto a casa i doni e commento che con lui non si può mai dire, che quando lo detesti e lo trovi irritante, se ne esce con questi gesti che rimettono a posto tutto.
M. lo chiama, dunque, per ringraziarlo. Io sento la telefonata, perché vivo dalla parte opposta della scrivania. Lui: gelido. Spiccica controvoglia qualche “Yes” e qualche “Di niente”. Attacca. M., non pago, gli manda nei giorni a seguire un libro sui vini, una guida ai migliori vini italiani.
Lui scarta il pacchetto senza dire nulla, legge la dedica (in latino: nessuno saprà mai cosa ne ha capito), mi dice: “Carino da parte di M.”. Ritaglia la dedica, la mette nel suo album, ma non allunga la mano verso il telefono, non fa nessun gesto di quelli scontati per dire grazie.
Lascia cadere le gentilezze altrui in una spirale di silenzio artico.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità