Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
19 maggio 2010, 17:39
Scivolando lungo la china dell’affetto
Quasi quasi stiamo prendendo una china melensa che mi inibisce l’ironia. Ma, tant’è, sono the final days, come ci continuiamo a ripetere.
Oggi mi ha sorpreso di nuovo. Proprio nel countdown finale sta sfidando tutti i pregiudizi e i risentimenti costruiti lentamente in questi tre anni. E ritorna a galla solo la sensazione di simpatia a pelle che tanto mi sorprese nel nostro primo colloquio.
Eravamo per strada, diretti al taxi. I momenti sono sempre scanditi rigidamente, con ampie pause prima e dopo. Com’è tipico delle persone timide, com’è tipico per chi non è abituato all’espansività. Come, forse, è tipico dei giapponesi. Così, si ferma mentre cammina, nel mezzo del marciapiede. Come si fosse scordato qualcosa su in ufficio. Mi dice: “I have to thank you again for Saturday night”.
Immobili in mezzo alla strada ci scambiamo un altro abbraccio. Adesso sono io a imbarazzarmi. Perché poi quando senti l’altro impacciato, impacciato ci diventi pure tu.
Ora, queste possono sembrare sciocchezze non degne di menzione. Io non credo lo siano.
Giusto pochi giorni fa mi raccontava di quando era stato sexually harassed da un tizio con cui lavorava da giovane. L’omosessualità resta un tema tabù per la stragrande maggioranza dei giapponesi e lui con visibile fastidio parlava di quest’uomo che gli aveva dato un bacio sulla guancia nel tragitto in ascensore. La scena mi sembrava tenera più che minacciosa. Me ne sono uscita con un: “It was just a kiss on your cheeck…” che non ha spazzato via l’espressione di disgusto dal suo viso: “It’s not in our culture”, ha aggiunto.
Io ho insistito chiedendo se nemmeno in famiglia, per esempio tra padre e figlio, nemmeno se uno parte per parecchio tempo, nemmeno insomma in situazioni particolarmente intense, ci si scambi un bacio.
No, è stata la sua risposta, perché qualunque gesto di affetto o attaccamento esplicito viene stigmatizzato, notato, moralmente sanzionato e soppesato.
Ecco come un abbraccio acquista senso.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)