Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
28 maggio 2010, 16:09
Progressi
Beh, già il fatto che stamattina il nuovo capo si sia presentato in jeans mi pare un discreto passo avanti. Un abbigliamento anni Ottanta in generale e un taschino stracolmo di penne che, ad ogni telefonata, estrae per appuntarsi tutto diligentemente.
Troppo presto per farsi un’idea. Specialmente con i giapponesi. Anche il primo capo all’inizio mi sembrava un agnellino, poi ha tirato fuori le zanne. Tra l’altro, finché sono insieme, non si pestano i piedi a vicenda.
Solo due notazioni, la prima delle quali potrebbe far ben sperare:
– L’ho condotto dal consulente del lavoro, il quale, debitamente istruito, ha illustrato tutte le procedure dei pagamenti nonché la natura del mio contratto. E soprattutto i miei giorni di ferie. Chiaramente il giapponese è rimasto perplesso sul fatto che il mio sia un contratto a tempo indeterminato, e mi ha chiesto spiegazioni in merito, poi però ha detto: “Your system is better than ours. In Japan there is no human right”. Speriamo il suo comportamento sia conseguente!
– Tornando in ufficio, mi domanda di quali argomenti ci siamo occupati con l’altro corrispondente. Salto a piè pari gli articoli surreali su Napoleone all’Elba o sulle case in Italia (tanto, sospetto, cose del genere capiteranno di nuovo…) e gli racconto un po’ genericamente. Lui da buon giapponese, quando gli rivolgo la stessa domanda, cioè di cosa vorrebbe scrivere, non risponde direttamente. In questi due giorni ha per lo più schivato le domande, non ha mai detto no, ovviamente, e per lo più mi guarda con aria benevola e stupita. Con gli occhi spalancati. Comunque gli dico che il suo predecessore si è occupato molto di politica e che tutto sommato ha una visione abbastanza chiara di quanto sta accadendo in Italia. Lui replica: “Beh, io credo che ci sia una domanda che i lettori giapponesi si pongono e a cui ancora non è stata data soddisfacente risposta: ‘Perché Berlusconi è così popolare?’”. La storia si ripete. È stata la fissa dell’altro per un bel po’, poi la sua risposta se l’è data e fine del discorso.
Se ci fosse una risposta univoca al quesito, saremmo a cavallo, penso io.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)