The Leftover of the Day – Non ci resta che piangere

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
20 gennaio 2010, 13:21
Non ci resta che piangere

Il personaggio è atipico, ed è per questo che a tratti è adorabile e a tratti insopportabile.
Oggi, non so da dove gli è venuto, se ne esce con questa domanda: “Qual è il contrario di xenofobo?”. Tutto perché vuole dire che lui odia la sua stessa gente, sarebbe a dire i giapponesi. 
Comincia a pensarci e cerca parole, gli dico che comunque sia il contrario di xenofobo è xenofilo, quindi non andrebbe bene. Lui si sforza – come sempre mi viene il forte sospetto sia più serio di quanto mi sembri lecito. Passiamo in rassegna diverse ipotesi, da misantropo (troppo generico) a nippofobo (ma, obietta, questo vale anche per i non giapponesi). Non troviamo parola adatta. Lui si esalta ed esclama: “Ah, allora posso scrivere un libro! È un concetto nuovo di cui nessuno ha mai parlato… E il mio nome sarà tra Platone e Schopenhauer!”. 

Ieri, invece, mi ha illustrato un ambito di ricerca che gli interessa approfondire, lo ha chiamato “The study of Verdone”. Ha argomentato dicendo che tutti in Giappone conoscono Fellini o Bertolucci, ma nessuno conosce Verdone. Allora ha deciso di comprarsi più film possibili. Mi ha chiesto anche altri film meno conosciuti all’estero e subito mi è venuto in mente Non ci resta che piangere. Così, una volta tornati in ufficio, gli ho fatto vedere da Youtube alcune scene del film.
Ovviamente era troppo complicato, e quindi gli dovevo spiegare che si diceva, io ridevo e lui era impassibile, ma è certo che tra qualche anno mi reciterà il film a memoria…

20 gennaio 2010, 15:51
L’alta formazione italiana

C’è una discrasia di ottica che non è sanabile. Forse sono io che non riesco a dare credito al mio paese, o forse è lui che gliene dà troppo…
Deglutisco angosciata quando mi annuncia che dobbiamo fare un articolo sulle eccellenze italiane in ambito scolastico: come al solito, è parte di una serie.
Già la prima volta era stata difficile, ma mi era venuto in mente il modello Reggio per gli asili e avevamo risolto così. Stavolta non so veramente cosa inventarmi. Il panorama della scuola e università italiane mi sembra una catasta di macerie.
Mi metto a cercare e trovo che l’Istituto superiore per il restauro sta per riaprire. Da lì inizia la mia odissea. Lui si fissa con il concetto di “Alta formazione”. Mi ritrovo a chiamare il Miur e il Mibac per chiedere lumi e mi sento stretta fra due logiche inconciliabili.
La sua, giapponese suo malgrado, che mi dice: “Try to figure out the system!”, e quella dei vari impiegati che ne sanno meno di me, mi dicono di consultare il sito e quando replico che l’ho già fatto e non c’è quello che cerco, mi sento dare risposte di questo genere: “Beh, non siamo noi le persone deposte a dare queste informazioni”. Insomma, l’imperativo categorico di “capire il sistema” si scontra contro l’assenza o l’opacità del sistema.
Lui è il massimo dell’ottimismo, in modo pesantemente didascalico mi suggerisce di chiedere: “Domanda loro: se uno studente straniero vuole frequentare un’Accademia in Italia, che vantaggi ne trae?”, e quelli mi rispondono più o meno così: “Allora, le Accademie sono state istituite dalla legge 508 dell’anno 99, poi per capire come si configurano deve leggersi il dpr 87 dell’anno 2009, e il regolamento annesso, uscito a giugno. Poi c’è anche il dpr 86 che riguarda la formazione…”. Ecc. ecc. 

Ne vengo a capo, in qualche maniera. Ma lo scenario è desolante. Anche se gli parlo dello sfacelo in cui versano più o meno tutte le istituzioni culturali, dai conservatori alle accademie agli istituti per il restauro, a lui va bene perché per il Giappone è comunque un’idea nuova quella che sia lo Stato a prendersi carico della cultura.
Peccato che per il caso italiano più che di alta formazione bisogna parlare di alta disorganizzazione.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)