The Leftover of the Day – La serie della strana coppia

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
21 dicembre 2009, 16:50
La serie della strana coppia

Un’altra particolarità del giornale giapponese per cui lavoro sono le serie. 
L’altro giorno è stata la volta di “La casa degli italiani”. Prima c’erano state: “Il trend dall’Italia”, poi “Il pranzo degli italiani”. 
Per le case, avevamo già fatto un articolo (se così vogliamo chiamarlo!) sulla casa di una famiglia che abita vicino a Roma, per documentare la vita dei commuters romani. In quell’imbarazzante occasione, ogni anfratto della dimora era stato esplorato. Lui faceva foto anche ai fiori del giardino, manco fosse stato nella giungla al cospetto di specie rare e introvabili altrove. 

Lo stesso accade per la casa veneziana che sarà il secondo pezzo mandato dall’Italia. Superato il panico da acqua alta che non c’è stata, la prima cosa da risolvere è , come al solito, la questione foto. La casa affaccia sul Canale della Giudecca. Lui vuole fare diversi tentativi per avere nella foto sia il balconcino con affacciati i due proprietari di casa sia la laguna. Impossibile, a meno che uno non si piazzi in mezzo all’acqua. Per un momento sospetto voglia affittare un taxi (lo abbiamo già fatto: quella volta per la foto di Punta della Dogana), ma no, stavolta è più semplice. Facciamo senza acqua. Lui si mette giù in strada, io con lui, quelli in balcone. La mia funzione in questi casi è distrarre chi verrà ritratto nella foto. Lui mi dice dove mettermi e io devo parlare al malacapitato di turno (possibilmente, mi ha detto una volta, cercando un argomento che renda l’espressione coerente con l’articolo). 
Poi si rientra in casa e inizia il tour delle stanze e lo scatto ossessivo di foto.
Stavolta mi sa che finiranno nell’articolo anche le foto delle rispettive cabine- armadio di moglie e marito!

Anche l’Africa fa parte di una serie. Più impegnativa, però: sugli investimenti cinesi in Africa (no ho accennato qui). Sono un po’ di giorni che, anziché parlare di Italia, si parla di Congo in questo ufficio. Mi sento insolitamente solidale con lui, specie quando comincio a leggere sul sito della Farnesina e delle ambasciate francese, inglese e americana, la situazione generale del paese. Quasi quasi mi dispiace che debba partire. Si stava facendo mettere sotto da un carrarmato in Georgia, che gli succederà stavolta?!? 

Lo accompagno a fare i vaccini. Le mie mansioni comprendono anche questo, così come per esempio fargli da interprete quando il tecnico della caldaia gli deve aggiustare l’impianto guasto o quando si deve comprare la chiavetta internet o andare in Questura per il permesso di sogggiorno. Insomma, altro che giornalista: in momenti così mi sento la sua badante. 
È la seconda volta che lo accompagno nella stessa clinica per fare le vaccinazioni per l’Africa. La stessa dottoressa ci accoglie e ci spiega i vari vaccini da fare, le dosi, eccetera. Gli chiedo tutte le informazioni possibili, e lo faccio alternando la prima persona plurale e la terza singolare (per esempio, le chiedo: “ci può scrivere le modalità di somministrazione altrimenti poi magari lui si dimentica?”). Insomma, la poveretta non può capire sul serio la relazione che lega me e il giapponese. E infatti, così come già la volta precedente, quando arriva il momento di fare le punture, mi alzo, raccolgo dalla sedia le mie cose e faccio per uscire. La dottoressa garbatamente mi fa: “Può restare se vuole”
“No”, dico io, “aspetto fuori”.
“Ah, le dà fastidio la vista del sangue”, risponde con aria materna.
“No, ehm, è per … privacy”, sussurro io, sorridendo imbarazzata. Non sono nemmeno sicura che mi abbia udito. E lui non mi aiuta affatto. Sollevandosi la manica e ridendo, dice alla dottoressa: “Sì, sì, ha paura del sangue”.
A volte sembriamo davvero una surreale coppia.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)