Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
23 novembre 2009, 16:45
Come te lo aspetti
Infine, dopo giornate spente e vacuità, qualcosa che mi ridà senso. Sono riuscita a ottenere un’intervista con Saviano. Tutto nasce da un articolo che farà parte di una serie sugli “eroi nazionali”. Il mio capo aveva mandato due proposte a Tokyo: la sua (Totti), la mia (Saviano). 1-0 per me, dunque (ma mi avrebbe inquietato un risultato diverso).
Non è stato facile, ma alla fine riusciamo a incontrarlo. Qui non scriverò troppo dei contenuti – almeno questa cautela verso il mio lavoro la devo tenere: l’articolo uscirà in Giappone molto più avanti. Ma anche per rispetto nei confronti di Saviano. Diciamo che le domande sono molto generiche e quando provo a parlare un po’ io, vengo trascinata via mio malgrado: questo è un riassunto più che sufficiente e aderente al vero. Qui dirò solo di qualche impressione o di piccole cose che mi hanno colpito.
Dopo una breve anticamera, peraltro divertente, con gli uomini della sua scorta, lui arriva. Stringe mani amichevolmente, sorride senza mai davvero mostrare i denti, come un tizzone sempre sul punto di spegnersi.
Nella stanza siamo noi 3 e due uomini della scorta. È tutto così normale e anomalo al contempo. Ho di fronte a me un coetaneo, che mi pare in tutto e per tutto uguale a me. Un coetaneo dai modi affabili, schietto, amichevole, curioso.
La suo voce è un filo sottile, ma teso. L’espressione è seria e calma.
Io sostanzialmente mi limito a tradurre le domande, so che di più non è lecito. Solo alla fine arriva il momento della foto – quello per cui il capo sempre si agita in modo speciale. Allora è il momento di cambiare posto, cosicché lui venga spontaneo nella foto mentre guarda nella mia direzione. Cambio lato del tavolo e gli faccio qualche domanda, più che altro mi incuriosisce il suo rapporto con la scrittura, e in particolare la questione della non fiction novel.
Tutto qui. Sono passati 30 minuti circa, è stato rapido e, ne sono felice, privo di drammatizzazione o di protagonismo. Saviano è di persona esattamente come uno spera che lui sia.
Lo seguiamo anche in un altro luogo. Deve fare una lezione all’università.
Con un po’ di fatica e dopo altri controlli di rito, entriamo anche lì. Il giapponese si alliscia sulle colonne per fare una foto decente. Non è facile: la luce del proiettore si riflette per metà viso di Saviano colorandolo di blu. Anch’io provo – ma senza convinzione. E in effetti le mie foto sono orrende.
Ascolto per lo più, e guardo i ragazzi. Saviano gli parla senza ammiccamenti, non fa discorsi astratti. Qualcuno registra, qualcuno prende appunti, qualcuno pensa chiaramente ad altro, comunque sono lì, la sala è piena. Mi rendo conto che seguirlo nel dettaglio non è facile: perché non sono di Napoli, tanto per cominciare.
Quando arriva il momento delle domande, sono molte le mani levate. C’è un ragazzo – con cui parlo alla fine per qualche commento – che insiste: Saviano deve entrare in politica. Non lo molla nemmeno quando la lezione è conclusa. Quando tutti se ne vanno, un gruppetto resta per ulteriori domande.
Saviano non si sottrae, il mio capo, invitato da uno della scorta, si accosta ancora di più e, infilato in mezzo ai ragazzi, continua a fare foto. Io invece faccio qualche domanda in giro e poi mi metto ai margini del gruppetto, ad ascoltare e osservare. Una ragazza si intrattiene lungamente e per questo suscita antipatie: vuole fare la giornalista e chiede consigli.
Quando se ne va, due alla mia destra, la guardano invidiose e infastidite allo stesso tempo, una chiede all’altra: “Ma chi è quella?”, l’altra dice: “Boh!” e qualcosa di poco gentile che non capisco (ma di cui leggo con chiarezza il tono sulle labbra). Sguardi che solo a 22 anni si riescono ad avere. Le chiacchiere vanno per le lunghe, ritorna quello che lo vuole far entrare in politica e cerca di convincerlo in ogni modo.
Il tutto mi impressiona e mi fa tenerezza e spavento.
Come puoi dialogare realmente con gente che ha appena 6-7 anni meno di te, quando ti trovi recluso e quando loro già ti trattano come se avessi passato una linea immaginaria? Oltre quella linea ci sono altri mondi, e non più quello dei tuoi coetanei.
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)