The Leftover of the Day – Due episodi comici

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
14 settembre 2010, 13:18
Giapponesi napoletani

Notizie che consolano. Le truffe fantasiose non sono copyright dell’Italia. Anche il Giappone non ci scherza. Con in più un tocco di macabro e di cinico.

14 settembre 2010, 16:47
Due episodi comici

Non è una novità.
Mi sento ingiusta, ma non è colpa mia se, lavorando con i giapponesi, si presentano di continuo situazioni dal sapore grottesco. Mi spiace omettere quasi tutti gli elementi di fascino e ammirazione legati alla cultura nipponica: tuttavia, non è quello il mio scopo.

Il primo qualche giorno fa. Io fisso catatonica il mio pc non so più in cerca di quale news e di sguincio vedo lui che, impugnata la macchinetta fotografica, ancora ben installato sulla sua sedia, fa le foto al suo laptop. Mi domando di quale nuova diavoleria si tratti e, dopo poco, è lui a svelarmi il segreto. Si alza e mi fa: "Scusa, posso chiederti una cosa strana?". Mi si accappona la pelle, già pavento un servizio sul ripieno dei tortellini bolognesi, e invece lui mi spiega: "Per i giovani che entrano al giornale, mi hanno chiesto una mia foto nell’ufficio di Roma". Poi continua, abbassa lo sguardo con falso imbarazzo ma intravedo il guizzo di autocompiacimento: "Perché mi prendano a modello".
Annamo bene, penso io, se è questo il modello… Poi passo una decina di minuti a fare foto con la sua enorme e funzionalissima macchina. Foto di lui alla scrivania che cerca di fare il disinvolto. Mentre scatto, mi guida: più zoom, meno zoom, ora ti guardo, ora faccio finta di scrivere…

Oggi, invece, gusto la mia solitudine – lui è fuori Roma per due settimane – finché mi arriva una mail. Magari fanno così pure i manager italiani, ma l’ossessione gerarchica dei giapponesi mi impressiona. In sostanza, il Presidente (il supermega presidente, direttor. dott. ing. gran. ladr. di gran croc. pezz. di merd, di Fantozziana memoria) deve venire a Roma e ha scomodato tutti gli impiegati del giornale fino ad arrivare a me, miserrima assistente-giornalista dell’ufficio di Roma, per accelerare i controlli all’aeroporto. Perché, il signorino!, ha paura di metterci troppo tempo.
Quando accadono queste minuzie, mi viene comunque il mal di stomaco dal nervoso e mi sento alla fine di una lunga fila di mastodontici (e ottusi) domino.
Riporto qui le mail (tradotte) del corrispondente senza aggiungere altro, perché anche il tono è sintomatico:

Prima mail:

"Ciao (…),

grazie per il tuo aiuto di ieri.
Posso chiederti qualcosa di completamente diverso?
Il Presidente del giornale (…) verrà a Roma il (…) per incontrare (…).
L’azienda è preoccupata che lui possa trovare una congestione al controllo passaporti e mi hanno chiesto di controllare se esiste un’opzione di fast-track all’aeroporto.
Puoi verificare se esiste?
Loro dicono che c’è in altri aeroporti nel mondo: c’è a Fiumicino?"

Fin qui, niente di male. Verifico, c’è solo Roma-Milano, glielo dico.

Seconda mail:

"Grazie della tua mail. Mi spiace, ma devo chiederti di fare un’ulteriore ricerca sulla fast-track. Sono convinto non ci sia, ma devo convincere anche i miei capi nell’azienda che ASSOLUTAMENTE NON esiste una fast-track a Fiumicino.
Sono estremamente dispiaciuto per questa richiesta estremamente burocratica. I devo solo spiegare all’azienda che abbiamo tentato TUTTE le strade. Sono pienamente convinto che tu capisca la mia situazione in qualche modo strana ma sicuramente grave (Serious, n.d.t.). Grazie!"

Tutta sta pesantezza e questa smania di precisazioni per una richiesta idiota! Ed è bello poi parlare con quelli di Alitalia che ne sanno meno di me che ho solo letto il sito e, sempre per questa cazzo di informazione, si rimpallano il telefono tra un operatore e l’altro.

Poi uno dice che i giapponesi sono stressati. Sfido io!

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)