Thailandia – Un talento immorale

In by Simone

La performance osé di una delle concorrenti di Thailand’s Got Talent ha fatto indignare i benpensanti del Paese dei sorrisi. Cantanti, attori, ministri: tutti a difendere la castità della "thailandesità". Nel paradiso sessuale per eccellenza i modelli di libertinismo, per assurdo, siamo noi.
In Thailandia, che ci si creda un meno, basta un seno nudo a fare perdere il senno all’intero paese.
La questione è esplosa a seguito della controversa esibizione di Duangjai Jansaunoi, una concorrente di Thailand’s Got Talent che, dopo essersi presentata come pittrice, ha dato le spalle al pubblico, si è sbottonata la camicia, si è versata addosso qualche secchio di vernice e, accennando dei movimenti sensuali, ha dipinto la sua tela a colpi di seno.

La reazione è stata subito forte. Il cantante Jirayut Wattanasin, giudice della trasmissione, dopo essersi accertato che l’arte per cui la concorrente chiedeva di essere giudicata fosse quella pittorica, ha iniziato commentando: “Se fossimo in Italia, a Firenze o a Milano, o nella Repubblica Ceca, a Praga, sarebbe andato bene…”.

Quindi, senza aggiungere altro, ha lasciato la parola alla giudice Pornchita Na Songkhla, celebre attrice televisiva, che, dopo essersi esibita in una serie di smorfie davanti alle telecamere, ha commentato: “Non dico che è sbagliato, ma non è appropriato. Visto che si tratta di cultura thailandese, non appoggio questo tipo di cose”.

Al coro si è presto aggiunta la voce del cane da guardia del Ministero della Cultura, che, negli ultimi anni particolarmente zelante nella salvaguardia di uno spesso confuso sistema di valori grossolanamente chiamato “thailandesità”, ha addirittura convocato gli organizzatori della trasmissione.

Ci devono essere dei limiti alla [libertà di] espressione artistica” ha dichiarato la signora Sukumol Khunploem, ministro della Cultura, “Sono rimasta scioccata quando ho visto il video”.

La società thailandese non accetta questo” le ha quindi fatto eco la signora Rabiabrat Pongpanich, capo di un’organizzazione per la promozione dei “valori famigliari thailandesi”. “La polizia valuterà se si tratta di oscenità. Questa (esibizione) dimostra che la società thailandese sta diventando malata e ossessionata dal sesso”.

Ha poca importanza il fatto che la concorrente, grazie al voto dei due giudici di sesso maschile, sia alla fine passata al turno successivo (scatenando l’indignazione della giudice Pornchita che ha prontamente lasciato lo studio gridando: “Non capisco! Non capisco!”).

E ha poca importanza anche il fatto che, dopo che lo scandalo è apparso sulle prime pagine dei giornali, è saltato fuori che era stata Thailand’s Got Thailand stessa a rivolgersi alla ragazza – forse una lavoratrice del sesso – chiedendole di esibirsi, suggerendo che l’intera performance fosse studiata dalla trasmissione stessa. Hanno quindi poca importanza i dibattiti sul dubbio valore artistico dell’esibizione.

Vale la pena osservare che, fin dai primissimi commenti dei giudici del programma, la performance è stata criticata unicamente in termini di non appropriatezza nei confronti della cultura thailandese.

Questo, apparentemente in contraddizione con la fama della Thailandia all’estero, rivela il quadro ben più complesso di un Paese che ancora oggi fatica a trovare un equilibrio tra i suoi veri o presunti valori originari e la recente scoperta di una sessualità da vivere in modo aperto che è frutto dalla sempre più massiccia esposizione a idee e stile di vita occidentali.

Malgrado le cifre – quasi tre milioni di lavoratori del sesso, secondo una stima del 2004, di cui due milioni di sesso femminile – l’industria della prostituzione che ha reso la Thailandia una delle mete più gettonati dal turismo sessuale, è vista come una risposta a necessità economiche più che il risultato di una presunta libertina cultura locale. La maggior parte dei thailandesi sembra pure completamente ignara del fatto che un’industria così massiccia sia un primato tutto tailandese.

Sathirakoses, un intellettuale thailandese vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nelle sue memorie arriva addirittura a dubitare che la parola “prostituta” esistesse in thailandese, al punto che all’apertura dei primi bordelli di Bangkok, per mano di immigrati cinesi, ricorda che, in assenza di un termine migliore, le prostitute venivano chiamate donne Sampheng, dal nome del quartiere in cui lavoravano.

E così, se da una parte si parla della Thailandia come di un paradiso del sesso, cresciuto libero dai tabù imposti dal cattolicesimo, in Thailandia si parla di Firenze o di Milano come di posti altrettanto esotici, dove, nel fiorire dell’arte, il sesso libero è roba di tutti i giorni.

Come se alla fine l’importante per l’uomo che abita ogni parte del mondo fosse sempre mantenere viva, almeno nell’immaginario collettivo, l’esistenza di un luogo lontano dove fare coincidere i propri sogni più segreti e contro il quale puntare il dito qualora si sentisse il bisogno di sentirsi un po’ più in pace con se stessi. Esiste anche per questo “l’altrove”.

[Foto credit: noticias.r7.com]

*Edoardo Siani vive in Thailandia dal 2002. Lavora come insegnante di inglese e di italiano e come interprete per la polizia locale. Sta raccontando gli anni trascorsi in uno slum di Bangkok in un libro.