Thailandia Pita Move Forward

La Thailandia in attesa: i conservatori puntano a governare

In Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

THAILANDIA – La corte costituzionale rimanda la decisione sulla rinomina di Pita e causa lo slittamento di tutto il processo politico per il voto del primo ministro. Intanto il Pheu Thai ha abbandonato il Move Forward e annunciato una nuova coalizione con il Bhumjaithai, dove potrebbero entrare altri partiti conservatori e filo-militari

Un paese sospeso. A quasi tre mesi dal voto del 14 maggio la Thailandia non ha ancora un primo ministro, né un’idea chiara di quali forze politiche formeranno il prossimo governo. La coalizione di otto partiti guidata dal Move Forward, il partito radicale e progressista vincitore delle elezioni (151 seggi), si è sciolta il 2 agosto dopo l’uscita dall’accordo del Pheu Thai, la seconda formazione per numero di seggi conquistati alla camera (141). Per molti analisti si è trattato di un “tradimento” annunciato. Altri l’hanno ritenuta una scelta inevitabile per ottenere dai senatori quel supporto che non avrebbero mai dato né al leader degli arancioni, Pita Limjaroenrat, né a un candidato premier di una coalizione che comprendesse al suo interno il Move Forward.

A seguito della rottura dell’alleanza, alcuni sostenitori del Move Forward si sono presentati sotto la sede del Pheu Thai a Bangkok per protestare contro la decisione del partito della famiglia Shinawatra. Non è stata una manifestazione di grande portata o intensità. Secondo i media thailandesi e internazionali erano presenti solo diverse «dozzine» di persone. I manifestanti hanno dato fuoco ad alcune effigi e imbrattato l’edificio, ma non ci sono stati scontri con le forze dell’ordine. Ad oggi le proteste dei gruppi di attivisti legati al Move Forward hanno tutte mantenuto questo standard: manifestazioni di dimensione ridotta e non violente, ma a cadenza regolare.

IL CORTOCIRCUITO

Quello che sta accadendo alla politica thailandese è una sorta di cortocircuito programmato. La costituzione in vigore dal 2017, scritta dall’esercito, ha dato al senato nominato dagli stessi militari il potere di votare in parlamento per l’elezione del primo ministro fino al maggio 2024. L’esercito si è così assicurato che nessun partito troppo ostile all’establishment potesse governare da solo, anche con una netta maggioranza alla camera. È quello che è successo al Move Forward. Già dopo il risultato delle elezioni di maggio si era capito che Pita avrebbe faticato a trovare l’appoggio di abbastanza senatori, nonostante la coalizione che aveva messo in piedi contasse su 312 dei 500 seggi della camera.

E dove non arriva la politica ci pensano i tribunali. La commissione elettorale e la corte costituzionale sono da anni protagoniste della politica thailandese. Si tratta di organi solo formalmente indipendenti, ma i cui membri sono connessi all’esercito. I casi sollevati contro Pita e il Move Forward rientrano in una logica di delegittimazione politica già utilizzata in passato contro i Shinawatra e il Future Forward (il predecessore del Move Forward, sciolto nel 2020), e legano di fatto il processo parlamentare per la nomina del nuovo premier alle vicende giudiziarie. La corte costituzionale ha così non solo il potere di squalificare candidati e sciogliere i partiti ostili ai conservatori, ma anche di influenzare il regolare svolgimento della democrazia thailandese.

Le ultime sedute parlamentari previste per l’elezione del primo ministro sono state infatti rinviate a seguito dei ritardi del tribunale nel decidere se accettare o meno una petizione presentata dal Move Forward, che ha protestato contro il blocco del parlamento della seconda candidatura di Pita a primo ministro. L’ultimo rinvio è arrivato il 3 agosto, rimandando così anche il voto parlamentare per l’elezione del premier in programma per il giorno successivo. La prossima riunione della corte è prevista per il 16 agosto.

In uno degli scenari possibili, il tribunale potrebbe accettare la petizione e rimandare le sessioni del parlamento per la nomina del primo ministro fino a che non arriverà a una sentenza definitiva, prolungando il periodo di grande incertezza politica. Altrimenti la corte potrebbe semplicemente rigettare o accettare il caso senza intervenire sul voto, che a quel punto potrebbe tenersi in una data tra il 17 e il 19 agosto.

LE MANOVRE POLITICHE

Intanto, la palla è passata al Pheu Thai. Il partito dei Shinawatra ha prima preso la leadership della coalizione “democratica”, ceduta dal Move Forward dopo i due fallimenti di Pita, poi l’ha stracciata alla ricerca di sostegno da parte dei senatori e dei partiti del fronte conservatore. Nelle ultime settimane i vertici del Pheu Thai hanno incontrato tutte le forze politiche del paese, compresi i rappresentanti dei partiti dei militari, il Palang Pracharat (PPRP) e lo United Thai Nation (UTN). Tutti hanno ripetuto la stessa cosa: il supporto al candidato premier del Pheu Thai sarebbe arrivato solo se il Move Forward fosse stato confinato all’opposizione. Da lì la decisione di rompere l’accordo con gli arancioni e puntare su una strada alternativa.

Il 7 agosto il Pheu Thai ha annunciato la formazione di una coalizione con il Bhumjathai (BJT), che con 71 seggi è il terzo partito più grande alla camera. Il BJT ha accettato di unirsi ai rossi a tre condizioni. La prima è che il futuro esecutivo non metta in discussione la legge sulla lesa maestà, quella che il Move Forward aveva promesso di emendare in uno dei punti più radicali del suo programma. Poi che il Move Forward non rientri a fare parte della coalizione, e che infine non si arrivi a formare un governo di minoranza. Per questo i due partiti, che insieme contano 212 seggi, hanno bisogno di sostegno possibilmente «dai membri di tutte le forze politiche», ha detto il segretario generale del Pheu Thai, Chonlanan Srikaew. Che ha anche dichiarato che il suo partito non inviterà nella coalizione né il PPRP, né l’UTN. Nonostante le smentite ufficiali, però, si ritiene che l’ipotesi di un alleanza coi militari non sia da considerarsi impossibile.

Il candidato premier del Pheu Thai sarà Srettha Thavisin, ex magnate dell’immobiliare con praticamente nessun tipo di esperienza politica. È un profilo in pieno stile Shinawatra. Srettha piace agli imprenditori ma cerca di parlare anche agli strati più bassi della popolazione thailandese, promettendo di impegnarsi per la risoluzione dei problemi economici e la riduzione delle disuguaglianze sociali. Negli ultimi giorni è stato accusato di evasione fiscale, ma il caso per ora non si è gonfiato come quello della partecipazione in una società di media su cui Pita verrà giudicato dalla corte costituzionale.

Si pensa che Srettha potrebbe riuscire a raccogliere i voti di almeno un centinaio di senatori, mentre alla camera il Pheu Thai non è ancora riuscito a contare con esattezza i suoi sostenitori. Secondo alcune «voci», come le ha definite il Thai Enquirer, si starebbero formando delle spaccature all’interno dei due partiti militari (PPRP e UTN) tra le fazioni pro e contro il supporto al partito dei Shinawatra. Stessa situazione anche all’interno del Partito Democratico, che si trova in un evidente stato di crisi. E anche il Move Forward non ha ancora deciso se voterà o meno a favore di Srettha.

L’ATTESA

È opinione abbastanza diffusa che quello in cui si è andato a infilare il Pheu Thai sia a lungo termine un suicidio politico. Rimosso dal potere da due colpi di Stato dell’esercito (2006 e 2014), negli ultimi due decenni il partito fondato da Thaksin Shinawatra, nonostante le sue controversie, ha raccolto enorme sostegno popolare dipingendosi come l’alternativa all’establishment conservatore e filo-militare. Lo stesso che ora sta corteggiando pur di formare un nuovo governo. Secondo il giornalista del Diplomat Sebastian Strangio, il partito è sempre stato più pragmatico e «meno ideologico» del Move Forward, per questo i suoi sostenitori potrebbero anche accettare delle alleanze scomode pur di vederlo governare. Ma è comunque difficile pensare che un tale compromesso non produca alcun tipo di malumore nell’elettorato.

Anche per questo, nonostante la rottura dell’accordo con il Move Forward, il Pheu Thai si è impegnato a portare a termine alcune delle promesse che aveva fatto nel precedente accordo di coalizione. Tra queste c’è la volontà di emendare la costituzione del 2017, le cui modifiche andrebbero poi approvate con un referendum, e di effettuare riforme dell’esercito, delle forze di polizia e del sistema giudiziario, oltre che di legalizzare il matrimonio anche per le coppie omosessuali.

C’è poi il tema ricorrente del rientro in Thailandia di Thaksin, in auto-esilio dal colpo di Stato del 2006 (salvo un breve periodo nel 2008) a causa delle condanne a un totale di dodici anni di carcere che pendono sulla sua testa. L’ex primo ministro aveva programmato il suo ritorno per il 10 agosto, giorno per il quale già sperava di trovare un governo a guida Pheu Thai a fare pressione per fargli ottenere il perdono reale. Invece ha dovuto rinviare il rientro a data da destinarsi. Anche lui sospeso, come tutta la Thailandia, in attesa di capire in quali mani sarà il futuro del paese.

Articolo a cura di Francesco Mattogno