UPDATE Thailandia – Il problema della lesa maestà

In by Simone

Un thailandese è stato condannato a 20 anni di prigione con l’accusa di lesa maestà per avere inviato degli sms critici nei confronti della monarchia. La notizia, menzionata solo da alcuni giornali e notiziari locali, scatena invece un acceso dibattito sui social network, tra monarchici e repubblicani e con l’intervento di UE e organizzazioni internazionali per i diritti umani. (UPDATED)
8 maggio 2012 – Update

Il nonno condannato a vent’anni di prigione per avere inviato quattro sms apparentemente critici dei confronti della monarchia tailandese è morto questa mattina nel carcere di Bangkok. L’uomo soffriva di cancro, e assistenza medica gli era negata durante la sua prigionia.

9 dicembre 2011 – Update

La condanna di ieri, 8 dicembre 2011, nei confronti di Joe Gordon – cittadino statunitense di origine thailandese – a due anni e mezzo di carcere per avere tradotto e messo in rete alcune pagine di The King Never Smiles, un libro della Yale University Press critico nei confronti del re della Thailandia, riporta la questione della lesa maestà thailandese allo scrutinio dell’opinione pubblica. Nella stampa internazionale, dopo un silenzio dovuto al terrore di corrispondenti e testate estere anche soltanto di nominare la questione, i primi timorosi del carcere e dell’espulsione a vita dalla Thailandia e le ultime di subire la censura e vedersi chiudere i propri uffici di Bangkok, è apparso in queste ultime ore un numero impressionante di articoli riguardo alla lesa maestà thailandese, mentre in Thailandia opinionisti e accademici si stanno esponendo come mai prima manifestando le loro critiche e organizzando persino raccolte firme e altre iniziative per domandare l’annullamento o la revisione della legge.


30 novembre 2011 – La storia

L’imputato, Amphol Tanngopakul, un sessantunenne di umili origini, nonno di tre nipoti e afflitto da un cancro alla laringe che richiede continua attenzione medica, era in carcere già da quindici mesi in attesa del processo avvenuto il 23 novembre, e ha seguito la condanna in videoconferenza per via delle inondazioni che gli hanno impedito di lasciare la prigione per recarsi in tribunale.

Gli sms incriminati, il cui contenuto non è stato rivelato per paura di infrangere la stessa legge, sono cinque e hanno portato in modo quantomeno insolito a cinque separati capi di accusa e dunque a cinque pene, ognuna di quattro anni.

Secondo la difesa, Amphol non sarebbe capace di usare la funzione sms del suo telefonino e non conoscerebbe neanche il destinatario dei messaggi. La spiegazione dei suoi avvocati vuole che l’apparecchio fosse in riparazione presso una delle tante bancarelle di tecnici factotum in un centro commerciale di Bangkok nel momento in cui gli sms furono inviati: un’ipotesi rifiutata dalla corte criminale per l’incapacità dell’uomo di indicare con esattezza la bancarella dove sarebbe avvenuta la riparazione.

La manette per Amphol erano scattate a seguito della segnalazione del ricevente degli sms, un segretario personale dell’allora premier Abhisit Wejjajiwa, che si era detto sconvolto dal contenuto di questi.

L’ex premier Abhisit, che è passato alla cronaca per la violenta repressione delle manifestazioni delle camicie rosse dello scorso maggio risultata in quasi cento morti tra i quali il photoreporter italiano Polenghi, aveva promesso una repressione nei confronti di chi infrange la legge di maestà lesa.

Il suo governo aveva visto quindi la scrittura di una nuova legge relativa ai crimini informatici per limitare il crescente numero attacchi alla monarchia sul world wide web e l’installazione di un apposito organo di guardia all’interno del Ministero delle Telecomunicazioni che negli ultimi anni ha chiuso quasi un 100mila siti internet, inclusi, temporaneamente, quelli di BBC, CNN, Youtube, Wikipedia e Wikileaks. Il numero di arresti per lesa maestà registrati durante il suo governo erano passati dai 18 casi del 2005 a 36 nel 2010.

Nonostante la legge di lesa maestà thailandese sia la più severa al mondo, con pene che vanno da tre a quindici anni di reclusione, in Thailandia è spesso vista come una legittima tutela dell’amato monarca e dunque della sensibilità pubblica nei confronti di attacchi gratuiti, e dibattiti sulla sua legittimità sono solitamente scoraggiati e ritenuti pericolosi.

Questo meccanismo ha recentemente portato a una strumentalizzazione della legge stessa con rivali politici che si accusano vicendevolmente di averla infranta, e anche a forti critiche per questioni relative alla libertà di espressione da organizzazioni non governative come Reporter Senza Frontiere.

Amnesty International, dopo una lunga politica di laissez faire condannata da queste ultime, si è espressa per la prima volta negativamente riguardo alla lesa maestà thailandese proprio a seguito della sentenza di Amphol. Amnesty ha dichiarato che nonostante la legge sia legittima, la forma e l’uso sono in contrasto con gli accordi internazionali, e ha aggiunto che “la repressione della libertà di espressione è il quotidiano in Thailandia e Amphol è un prigioniero politico.”

Persino l’Unione Europea è scesa in campo, dicendosi “profondamente preoccupata” dalla sentenza e invitando le autorità thailandesi ad assicurarsi che la legge sia applicata nel rispetto de “i diritti umani fondamentali, inclusa la libertà di espressione”.

Malgrado questo clamore, la condanna di Amphol è passata però quasi inosservata nei media thailandesi, impegnati ad accusare il governo di avere malgestito l’emergenza inondazioni e a deridere la premier Yingluck Shinawatra per avere dimostrato un inglese stentato durante la recente visita della Clinton.

Soltanto i giornali locali in lingua inglese, il Bangkok Post e The Nation, hanno dedicato un articoletto alla notizia, mentre notiziari e stampa in lingua thailandese sono praticamente rimasti in silenzio.

Le immagini del nonno che in lacrime saluta i suoi nipotini sono comunque arrivate in Thailandia tramite i social network, e le reazioni non potrebbero essere più discordanti, con commenti che vanno da “La Thailandia è una Corea del Nord con le spa e i templi” a “Ci vorrebbe la PENA DI MORTE”.

In risposta al numero straordinario degli interventi pro Amphol su Facebook, il Ministero delle Telecomunicazioni thailandese ha avvisato che un click su “Mi piace” o “Condividi” sotto un commento antimonarchico è sufficiente per venire imprigionati per lesa maestà.

La spaccatura della Thailandia nei confronti del crimine di lesa maestà rispecchia la divisione sociale alla base dell’attuale crisi politica. L’amore per il monarca, fino a pochi anni fa indiscusso, sembra infatti diventato un’importante ragione di scontro da quando hanno cominciato a circolare voci riguardo alla presunta intenzione di Thaksin Shinawatra, l’ex premier ribaltato dal colpo di stato del 2006 e idolo delle camicie rosse, di trasformare il Paese in una repubblica con se stesso nei panni di presidente.

Non è chiaro quanto la divisione tra monarchici e repubblicani sia reale, poiché parecchie camicie rosse rimangono apparentemente fedeli al monarca, ma questa questione è fortemente sentita, specie nella società bangkokiana.

[Foto credit: pattaya-times.com]

* Edoardo Siani vive in Thailandia dal 2002. Lavora come insegnante di inglese e di italiano e come interprete per la polizia locale. Sta raccontando gli anni trascorsi in uno slum di Bangkok in un libro.