Non si tratta soltanto di un’azione a difesa della natura, ma di tutela dei diritti umani e del lavoro. La Thai Union è diventata il bersaglio globale dell’ultima campagna di Greenpeace. Il più grande produttore al mondo di tonno in scatola è sotto accusa perché collegato a condizioni di lavoro al limite dello schiavismo e alla pesca illegale.«Non è semplicemente tonno» recita lo slogan dell’organizzazione ecologista che esorta il colosso thailandese con ramificazioni multinazionali a prendere provvedimenti per sanare le storture nella catena di produzione. Già lo scorso luglio due lunghe inchieste del New York Times e del Guardian avevano raccontato la vita dei pescatori impiegati nell’industria thailandese del tonno.
Si tratta di una storia che intreccia la pesca al traffico di esseri umani con la questione rohingya – la minoranza musulmana perseguitata in Myanmar – spesso con la complicità delle autorità locali.
Secondo le testimonianze, centinaia di rohingya sono venduti dai trafficanti per lavorare sulle imbarcazioni. Un recente rapporto di Amnesty International ha descritto l’inferno cui sono costretti donne, uomini e bambini in fuga dalle persecuzioni in Myanmar, vittime sia dal governo, che di fatto non gli riconosce come cittadini birmani, sia delle frange radicali dell’estremismo buddhista. Una volta fuggiti, costretti a subire violenza o rapiti, i rohingya spesso finiscono rinchiusi in campi di prigionia. A volte uccisi, nel caso le famiglie non paghino il riscatto.
Il giro di vite contro i trafficanti di esseri umani deciso la scorsa primavera dalla Thailandia, dopo il ritrovamento di fosse comuni, non ha contribuito a migliorare la situazione. I traffici si sono infatti spostati su altre rotte. È su questo sfondo che si colloca la campagna di Greenpeace che chiede alla Thai Union di cambiare il proprio modo di operare.
La denuncia va di pari passo con le pressioni dell’Unione europea sul governo di Bangkok. Ad aprile Bruxelles non ha escluso l’ipotesi di bloccare le importazioni di pesce. Un primo cartellino giallo cui in estate hanno fatto seguito le dichiarazioni di alcuni europarlamentari, pronti a sventolare il cartellino rosso contro le produzioni thailandesi.
L’Europa chiede alla Thailandia controlli adeguati sulle imbarcazioni in modo che siano registrate, con un equipaggiamento in regola e dotate di un sistema di monitoraggio, al momento disponibile soltanto in una minima parte della flotta. In ballo per la Thai Union c’è inoltre l’acquisizione della società statunitense Bumble Bee, un dossier in mano all’autorità per la concorrenza.
Alla fine di settembre un’analisi di Greenpeace su 14 marchi del tonno in scatola thailandesi metteva in luce le difficoltà del mercato nel tracciare l’origine del pesce usato, il tipo di tonno utilizzato e nel conoscere a pieno le condizioni di lavoro sulle barche, tra salari bassi, quando in pratica a zero, e orari massacranti. «Non permetteremo alla Thai Union e ai marchi a essa legati di sacrificare gli oceani e mettere a rischio i lavoratori», spiega l’organizzazione ambientalista in un comunicato.
Dal canto suo l’azienda difende i propri standard di trasparenza sulla tracciabilità delle scatolette, per capire se siano o meno frutto di abusi. Ha inoltre avviato una campagna di marketing, che non sembra tuttavia convincere a pieno.
[Scritto per il Fatto quotidiano online; foto credit: greenpeace.org]