A proposito di «Tecnocina. Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi», l’ultimo volume di Simone Pieranni (Add) che indaga alla radice e porta alla luce i fenomeni sociopolitici e le storie dello sviluppo tecnologico della Repubblica popolare
“La morsa su di noi sulla questione cruciale della tecnologia è davvero esasperante. Ma l’indignazione è inutile. Dovremo solo mostrarglielo. Forse questo tipo di pressione diventerà l’impulso per sviluppare la nostra scienza e la nostra tecnologia, quindi ci battiamo ancora più risolutamente per l’indipendenza, l’autonomia e l’autosufficienza, piuttosto che contare sull’assistenza straniera”. A parlare non è Xi Jinping, ma il maresciallo Nie Rongzhen. La morsa non è degli Stati uniti, bensì dell’Unione sovietica. È il 3 luglio 1960 e Nie, responsabile del progetto per la bomba atomica cinese, scrive al Comitato centrale del Partito comunista esortandolo a perseguire la strada della produzione tecnologica autoctona.
Oltre sei decenni dopo, la Casa bianca continua a emettere nuove restrizioni all’export in materia di chip e intelligenza artificiale, con l’obiettivo di escludere la Cina dalle catene di approvvigionamento più avanzate. Rispetto ad allora, non serve la lettera di un maresciallo per convincere la leadership a perseguire la priorità strategica dell’autosufficienza tecnologica. Priorità che ha cominciato a diventare tale proprio da quel cruciale 1960, al culmine del distacco tra la Cina di Mao Zedong e un’Urss che da esempio da seguire si era tramutata in zavorra di cui disfarsi per far sbocciare quelle caratteristiche cinesi divenute il pilastro di una strada non omologabile verso lo sviluppo.
Nella storia dei primi 74 anni di Repubblica popolare, fatta di discontinuità e cambiamenti di prospettiva, ci sono anche profondi elementi di continuità strategica. L’ultima risoluzione sulla storia, licenziata nel 2021, ha d’altronde ribadito quanto sia (o debba essere) olistica l’interpretazione della traiettoria del Partito. Tecnocina di Simone Pieranni (256 pagine, add editore) guida con presa salda il lettore sul sottile crinale tra continuità e balzi in avanti che caratterizzano la lunga marcia della nuova Cina verso lo sviluppo tecnologico.
Il libro è diviso in cinque capitoli, uno per ogni leader. Ma epoche e capitoli sono materia viva, permeabili e compenetrabili, senza compartimenti stagni. E dialogano tra loro, utilizzando una tra le più profonde riflessioni contenute in “Oceano rosso” dello scrittore di fantascienza Han Song. Il racconto dell’ascesa tecnologica della Cina ha ceduto a lungo a due tentazioni: la sottovalutazione della “Pechino che copia” e il macchiettismo dello “strano ma vero”. Pieranni, compiendo un ulteriore salto nella sua già profonda ricerca della cosmotecnica cinese (si veda per esempio “Red Mirror”, Laterza), va invece alla radice, anche scientifica, di ciò che racconta. Portandone alla luce i fenomeni sociopolitici e, soprattutto, le storie. Con tanti personaggi, per lo più sconosciuti al pubblico occidentale.
Da Xia Peisu, madre dell’informatica cinese, a Wang Daheng, padre dell’ingegneria ottica e del primo laser della Repubblica popolare. Da Zhang Lizhu, la ginecologa che fa nascere la prima bambina cinese con la fertilizzazione in vitro, a Yuan Longping, l’ideatore del riso ibrido che ha salvato tante vite dalla carestia. Fino a Chen Fangyun, precursore del sistema di posizionamento satellitare BeiDou, e Tu Youyou, che ricorrendo alla medicina tradizionale arginò il dilagare della malaria durante la guerra in Vietnam.
Ritratti di vicende umane e scientifiche, funzionali alla comprensione dell’affresco più grande. Come nel caso di Qian Xuesen, fulcro dello sviluppo militare degli Stati uniti divenuto poi il deus ex machina dell’avanzamento missilistico, aerodinamico e cibernetico della Cina. Sconfinando nell’ingegneria sociale con l’ispirazione della politica del figlio unico. O come nel caso del boss dell’azienda di elettrodomestici Haier, Zhang Ruimin, che per primo adatta la struttura delle imprese private alle esigenze del mercato. O ancora Ren Zhengfei, simbolo con la sua Huawei dell’innovazione made in China e precursore del controllo nazionale dei centri nevralgici della tecnologia.
Si scopre allora che gli obiettivi strategici sui semiconduttori sono stati fissati ben prima dell’avvento di Xi, così come il vasto progetto di sorveglianza della popolazione ha i suoi prodromi nella campagna “colpisci duro” della stagione di riforma e apertura di Deng Xiaoping. È il “piccolo timoniere” che ha sdoganato una visione scientifica della società, concepita come un software programmabile e pianificabile. Controllabile, così come la Cina ha reso internet, tra Jiang Zemin e Hu Jintao. E come ora sogna di rendere persino spazio e tempo, durante la nuova era di Xi, quella in cui non ci si accontenta di resistere all’omologazione ma si prova a proiettare le caratteristiche cinesi sulla scena globale. Tecnocina è una lettura fondamentale per capire il presente, navigando il passato con uno sguardo rivolto al futuro.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.