“Ahah”. E’ con una risata liberatoria che il People’s Daily, megafono del Partito comunista cinese, ha accolto su Twitter la sconfitta di Trump. Venendo meno all’usuale distacco diplomatico, la stampa ufficiale tradisce il sollievo con cui Pechino si appresta a lavorare con Biden dopo quattro anni di inferno trumpiano. Nessuno si aspetta un ritorno alla politica “soft” dell’era Obama. Ma la vittoria di un presidente “old school” sancirà verosimilmente un ritorno di Washington ai tavoli interazionali, moltiplicando le occasioni di dialogo. Con il rischio, certo, che il rinnovato multilateralismo a guida americana si traduca in un accerchiamento là dove le due superpotenze sono ancora ai ferri corti.
Il tono degli scambi tra le due sponde del Pacifico avrà inevitabilmente ripercussioni per tutta l’Asia, dove il peso economico della Cina rischia sempre più di arginare l’ascendente politico-militare degli Stati Uniti. Ad oggi, le schermaglie bilaterali cominciate nel 2018 con la guerra tariffaria si sono metastatizzate in molteplici aree di interesse regionale: da Hong Kong e Taiwan, dove l’ingerenza cinese attenta ai valori democratici (e agli interessi statunitensi), al Mar Cinese Meridionale, dove l’espansionismo di Pechino nei territori contesi con i vicini asiatici minaccia le rotte commerciali internazionali. Il “decoupling tecnologico”, ultimo in ordine di tempo, ha già innescato un effetto domino attraverso la catena di approvvigionamento con riverberi nei principali centri hi-tech asiatici.
L’avvicendamento ai vertici della Casa Bianca cambierà la postura di Washington? Premesso che molto dipenderà dalla composizione dell’esecutivo (l’ipotesi di Michele Flournoy al Pentagono non è passata inosservata oltre la Muraglia), sul fronte commerciale ci potrebbe essere qualche novità. Il nuovo inquilino dello Studio Ovale dovrà smentire il chiacchiericcio che circonda il nomignolo affibbiatogli da Trump. Quindi, le tariffe rimarranno ma forse non tutte.
Non si preannuncia meno agguerrita la competizione per l’egemonia tecnologica. Mentre i regolatori cominciano ad allentare la presa su Huawei, nei settori strategici – come il 5G – non si intravedono compromessi. La proposta del piano “Buy America” risponde alla necessità di difendere le forniture da eventuali ostruzioni nella catena di approvvigionamento globale. Risposta con “caratteristiche americane” alla nuova strategia della “doppia circolazione”, con cui Pechino punta a potenziare il mercato interno e a ridurre la propria dipendenza delle importazioni di alta tecnologia. SEGUE SULL’ATLANTE
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.