Il mondo si concentra quasi esclusivamente sulle esercitazioni militari e le manovre di jet e navi sullo Stretto, ma c’è molto di più. Il Partito comunista non ha ancora abbandonato l’idea di una possibile “riunificazione” (“unificazione”, secondo Taipei) pacifica. Qualche settimana fa, il Comitato centrale del Partito comunista cinese e il Consiglio di Stato hanno pubblicato congiuntamente un documento di pianificazione contenente 21 punti specifici per trasformare la provincia del Fujian in una zona dimostrativa per lo “sviluppo integrato” con Taiwan.
Si chiama La dimora sui monti Fuchun. È uno dei dipinti più antichi della Cina. I suoi pezzi sono però conservati separatamente. Una parte si trova al museo provinciale dello Zhejiang ad Hangzhou, in Cina continentale. L’altra invece, la più grande, è al museo nazionale di Taipei a Taiwan. Il 1° ottobre, quando la Repubblica Popolare Cinese ha festeggiato il suo 74esimo anniversario, il Comando del teatro orientale dell’Esercito popolare di liberazione ha pubblicato un video animato dove al termine le due parti del dipinto vengono riunite. “I sogni si avverano sul fiume Fuchun”, recitava il filmato. Un auspicio, dalle parti di Pechino. Qualcosa di più simile a una minaccia, dalle parti di Taipei.
La pubblicazione del video è uno dei tanti episodi in grado di mostrare il grado di retorica utilizzato da Pechino sulla questione di Taiwan. Cosa che sta accadendo e presumibilmente accadrà con intensità nei prossimi mesi, in vista delle cruciali elezioni presidenziali di gennaio 2024. Il mondo si concentra quasi esclusivamente sulle esercitazioni militari e le manovre di jet e navi sullo Stretto, ma c’è molto di più. Il Partito comunista non ha ancora abbandonato l’idea di una possibile “riunificazione” (“unificazione”, secondo Taipei) pacifica. O, quantomeno, vuole dare l’impressione di non averlo fatto, nonostante negli ultimi anni le due sponde dello Stretto si siano sempre più allontanate.
Qualche settimana fa, il Comitato centrale del Partito comunista cinese e il Consiglio di Stato hanno pubblicato congiuntamente un documento di pianificazione contenente 21 punti specifici per trasformare la provincia del Fujian in una zona dimostrativa per lo “sviluppo integrato” con Taiwan. Il Fujian è la provincia meridionale che si affaccia sullo Stretto e da cui provengono gran parte degli antenati degli abitanti di Taiwan, che ancora oggi hanno spesso diversi parenti o amici che vivono o lavorano nel Fujian.
Questo concetto era già stato menzionato nel 14° Piano quinquennale (2021-2025), che delineava un ruolo specifico per il Fujian nello “sviluppo integrato tra le due sponde dello Stretto”. Il piano menziona due piattaforme esistenti per tale integrazione: la zona sperimentale globale di Pingtan nel Fujian e la zona sperimentale di Kunshan nella provincia di Jiangsu. Pingtan è un’isola appena fuori dalla costa di Fuzhou, la capitale del Fujian. Nel 2007 è iniziata la costruzione di un ponte dalla terraferma del Fujian a Pingtan. Attualmente sono stati aperti un ponte stradale e uno ferroviario. Una spiaggia di Pingtan dista solo 68 miglia nautiche dall’isola principale di Taiwan. Da qui, in realtà, si sono svolte anche esercitazioni a fuoco vivo nell’agosto 2022 in reazione alla visita a Taipei dell’allora presidente del Congresso degli Stati Uniti, Nancy Pelosi.
Il nuovo documento si apre con l’affermazione che “risolvere la questione di Taiwan e realizzare la completa riunificazione della Cina è, per il Partito, una missione storica e un impegno incrollabile” ed è “inevitabile”. Il Fujian, prosegue il documento, ha un ruolo unico da svolgere in questo senso. Il piano è stato svelato in occasione della prima riunione del Consiglio della decima Associazione cinese per la promozione della riunificazione pacifica, a cui ha partecipato Wang Huning, numero 3 della gerarchia del Partito comunista e ideologo del “sogno cinese”, incaricato da Xi di trovare nuove cornici retoriche e narrative in cui inserire il progetto di “riunificazione pacifica” dopo che il prepensionamento del modello “un paese, due sistemi” a Hong Kong ha reso necessario cercare di ideare una nuova cornice da presentare (o imporre) ai taiwanesi. Il noto esperto della Tsinghua University, Da Wei, ha per esempio parlato di “un paese, molti sistemi”, per sottolineare che il grado di tutele e garanzie per Taiwan potrebbero essere diverse da quelle concesse a Hong Kong. Ciò che non cambia, ovviamente, è il concetto di “un paese”. Ed è ciò che rende complicato immaginare qualsiasi tipo di negoziato politico con Taipei.
Ma il piano presentato da Wang evita di allargare lo sguardo alla sfera politico-retorica e si concentra su aspetti molto più concreti. I 21 punti del documento includono programmi per espandere i legami sociali, culturali ed economici tra Taiwan e il Fujian e l’impegno a creare un ambiente politico più “rilassato”, in modo che le persone di Taiwan possano facilmente recarsi o lavorare e risiedere nel Fujian. I residenti taiwanesi non dovranno più registrarsi per la residenza temporanea nel Fujian e saranno inclusi nello schema del welfare locale, compresi l’assistenza sanitaria e l’accesso ai servizi per i cittadini. L’idea è quella di promuovere e facilitare gli scambi a tutti i livelli, compresi quelli economici e culturali.
Un ruolo cruciale nel piano del Partito comunista lo ricoprono le infrastrutture e i mezzi di trasporto. Il primo passo è il collegamento con Kinmen e Matsu, due piccoli arcipelaghi amministrati da Taipei ma che si trovano a pochissimi chilometri di distanza dalle coste del Fujian. Un tempo avamposti militari bombardati da Mao Zedong durante le prime due crisi dello Stretto, ora Pechino vorrebbe trasformarle in “zone pilota”. Allo studio già da tempo la costruzione di ponti per unire Kinmen a Xiamen (metropoli che dista solo 2 chilometri nel punto più vicino) e Matsu a Fuzhou. E il governo locale delle Matsu è favorevole, nonostante a Taipei la realizzazione di ponti sarebbe vista come una sorta di “inglobamento“. Difficile immaginare che possa mai arrivare il benestare del governo centrale, almeno sino a quando ci sarà il Partito progressista democratico della presidente uscente Tsai Ing-wen.
C’è di più. Pechino ha dichiarato di essere pronta a costruire una ferrovia ad alta velocità per Taiwan come parte delle sue ultime proposte per lo “sviluppo integrato dello Stretto”. Cong Liang, vicedirettore della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma, ha spiegato che la Cina ha già le capacità ingegneristiche e tecniche per costruire un collegamento dal Fujian. Nel 2021 il Comitato centrale del Partito comunista e il Consiglio di Stato hanno pubblicato un progetto di trasporto per il 2035 che includeva una linea ad alta velocità tra Pechino e Taipei: un piano che le autorità taiwanesi hanno respinto come una mossa unilaterale che avrebbe rischiato di ampliare la distanza emotiva tra le due parti. Nelle scorse settimane, è stata intanto lanciata la linea ferroviaria ad alta velocità Fuzhou-Xiamen, in grado di attraversare diverse baie sfiorando la costa sudorientale affacciata sullo Stretto.
Pechino sa che azioni militari prima delle elezioni taiwanesi rischiano di rivelarsi un boomerang e favorire proprio i candidati a lei più invisi. Risultano essere più utili azioni sul fronte del commercio, dell’economia o dell’informazione. In questa ottica, nei giorni scorsi il governo cinese ha prorogato di tre mesi, fino alla vigilia delle elezioni presidenziali, un’indagine su quelle che definisce le barriere commerciali di Taipei nei suoi confronti. L’indagine terminerà esattamente il 12 gennaio, 24 ore prima del voto taiwanese. Possibile la sospensione totale o parziale delle preferenze tariffarie concesse ai prodotti taiwanesi nell’ambito dell’Economic Cooperation Framework Agreement firmato nel 2010, quando a Taipei governava il presidente Ma Ying-jeou del Kuomintang, fautore di un grande avvicinamento a Pechino. Il governo cinese sembra legare il mantenimento delle regole tariffarie al riconoscimento del “consenso del 1992”, controverso accordo raggiunto tra le due sponde su cui l’interpretazione però differisce. Il Kuomintang sostiene che l’intesa riconosce l’esistenza di una “unica Cina”, ma senza stabilire quale. Il Partito comunista ritiene invece che si tratti di un riconoscimento da parte di Taipei di appartenere alla Repubblica Popolare. Il Partito progressista democratico non ha però mai riconosciuto il “consenso del 1992”, fattore che fin qui ha reso impossibile un dialogo tra le due sponde da quando è al potere Tsai, cioè dal 2016.
A torto o a ragione, le manovre economiche e normative sono osservate con maggiore attenzione da molti taiwanesi. L’economia di Taipei è ancora strettamente legata a Pechino, che rappresenta con ampio distacco il principale partner commerciale di Taiwan. Ed è proprio la leva che il Partito comunista proverà ad azionare con maggiore decisione, fino a quando penserà che sia inevitabile la coercizione militare. O almeno, fino a quando vorrà mostrare di non pensarlo.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Gariwo]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.