Decine di attivisti taiwanesi pro-indipendenza si sono scontrati con la polizia nel corso di una protesta contro l’accordo Taipei-Pechino per liberalizzare ulteriormente gli scambi commerciali e dei servizi tra le due sponde dello stretto di Formosa. Ma il trattato, secondo loro, non farà che aumentare la dipendenza politica di Taiwan.
Gli incidenti sono avvenuti martedì, mentre il parlamento di Taiwan discuteva i dettagli del trattato che non sarà ratificato comunque prima di settembre. I manifestanti hanno cercato di forzare il cordone di polizia ed entrare nel parlamento; alcuni ci sono riusciti e hanno scavalcato la recinzione del palazzo che ospita l’assemblea, per poi protestare brevemente all’interno del compound, prima di essere dispersi. Nei tafferugli che ne sono seguiti, alcuni di loro sono rimasti contusi, mentre non sono stati segnalati arresti.
In base all’accordo siglato a giugno, la Cina aprirà 80 comparti del proprio settore dei servizi agli investimenti delle imprese taiwanesi e Taipei concederà la reciprocità in 64 comparti. Di fatto, si tratta di un passo avanti nell’attuazione dell’accordo quadro di cooperazione economica firmato nel 2010 per ridurre le barriere commerciali tra le due “Cine”.
“Contro il trattato, per la salvaguardia della sovranità”, gridavano i manifestanti, e sta proprio qui il nodo del problema: ampliare le relazioni commerciali con il gigante della porta accanto rafforza o indebolisce Taiwan?
Secondo gli attivisti, “il patto provocherà incalcolabili conseguenze negative sull’economia di Taiwan e tantissime persone perderanno il lavoro, ma pochi sembrano consapevoli di questo”. Parole di Tsai Ting-Kui, uno dei leader della protesta.
Di diverso avviso il governo del Kuomintang, secondo cui l’accordo risolleverà l’economia dell’isola creando un canale privilegiato con Pechino. L’alternativa, da evitare, è che l’economia del continente punti verso altri lidi, isolando Taiwan.
Il presidente Ma Ying-jeou è salito al potere nel 2008 proprio grazie a un programma di più strette relazioni commerciali e nel turismo con il continente, agenda che gli ha consentito anche la rielezione nel 2012.
All’opposizione, il Partito democratico progressista non è ovviamente d’accordo e sostiene che la quasi-area di libero scambio massacrerà le più piccole società di servizi taiwanesi, sottoposte alla potenza di fuoco delle concorrenti della Cina continentale.
C’è poi l’aspetto più strettamente politico a fare infuriare gli oppositori. Il trattato, secondo loro, non farà che aumentare la dipendenza politica di Taiwan dalla Cina, che prima o poi potrà dettare le proprie condizioni all’isola. Il timore è quello di perdere le libertà democratiche faticosamente conquistate negli scorsi decenni.
La paura della Cina si spiega anche guardando a Hong Kong. Lì, il modello “un Paese due sistemi”, che Pechino vorrebbe probabilmente utilizzare come esempio per le future relazioni con Taipei, ha portato alla costituzione di un sistema in cui il suffragio universale è di fatto concesso solo per le elezioni distrettuali.
Il capo del governo – che è denominato “Chief Executive” come se si trattasse di una carica aziendale – è invece eletto da un collegio elettorale composto da notabili locali, generalmente businessmen filo-Cina. Va per altro detto che tale sistema ricalca in buona parte quello coloniale messo a punto dagli inglesi, prima che Hong Kong tornasse alla Cina nel 1997.
Ora, ogni passo di avvicinamento a Pechino, economico o politico che sia, è letto dagli indipendentisti taiwanesi come una cessione di sovranità. La Cina considera Taiwan parte del proprio territorio, anche se le due parti sono divise dal 1949, cioè dalla fine della guerra civile tra comunisti e nazionalisti.
Adeguarsi alla “politica” di “una sola Cina” è il requisito fondamentale per avere rapporti diplomatici con Pechino e stabilisce che la Repubblica Popolare sia la legittima rappresentante della Cina.
Non va confusa con il “principio” di “una sola Cina”, che ispira invece sia Pechino sia Taipei e che fa da base al “consenso del 1992”, che regola i rapporti tra i due governi. In base a tale principio, entrambi concordano sul fatto che vi sia un solo Stato sovrano che comprende sia la Cina continentale sia Taiwan, ma non vi è invece accordo su quale dei due governi sia il legittimo rappresentante di tale Stato.
[Scritto per Lettera43; foto credits: straitstimes.com]